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domenica 20 marzo 2011

RADIOATTIVITA',PRECAUZIONI PER CHI TORNA DAL GIAPPONE


http://www.corriere.it/salute/11_marzo_18/ripamonti_cibi_sodpetti_56b348c6-5140-11e0-b0a4-77b20470b36e.shtml

MILANO - Con gli occhi del mondo puntati sulle centrali giapponesi e il riaccendersi del dibattito sul nucleare nel nostro Paese torna d'attualità la domanda: Come ci si può difendere dalle radiazioni?«La protezione da forti dosi di radiazioni si ottiene solo con la schermatura a piombo» spiega Carlo Fallai, direttore del reparto di Radioterapia 2 dell'Istituto dei tumori di Milano. «Ma se parliamo dei rischi che corre chi non vive in prossimità delle centrali danneggiate dal sisma il fattore distanza è decisivo, visto che l'esposizione alla radiazione si riduce con il quadrato della distanza dalla sorgente».
«Infatti già a Tokyo il livello di radioattività ambientale, secondo quanto risulta al momento, sarebbe solo di cinque volte superiore a quello che abbiamo a Milano, cioè ancora molto basso» precisa Riccardo Calandrino direttore del servizio di Fisica Sanitaria dell'Istituto San Raffaele di Milano. Quindi non c'è nessun provvedimento da adottare per chi vive in Giappone? Niente tute bianche? Niente dosimetri di radioattività? Niente pastiglie di iodio? «Bisogna distinguere» chiarisce Calandrino. «Le tute bianche, che si vedono nelle fotografie, servono a chi opera nelle zone del disastro per proteggere pelle e vestiti dalla radioattività ambientale. Chi le indossa, quando rientra in un ambiente chiuso deve lasciarle fuori in modo da non contaminarlo e deve anche farsi una buona doccia. I dosimetri servono invece a dirci quante radiazioni assorbiamo e sono una forma di difesa indiretta».
Diverso il discorso delle pastiglie di iodio. «La loro funzione è "saturare" la tiroide di questa sostanza» illustra Franco Locatelli, direttore del Dipartimento di onco-ematologia dell'ospedale Bambin Gesù di Roma, che ha seguito in passato diversi minori colpiti dalle radiazioni di Chernobyl. «Questa ghiandola è la più "affamata" di iodio dell'organismo e "ingolfandola" con quello delle pastiglie, si evita che possa captare quello radioattivo dall'ambiente. Ma ai livelli di radioattività che vengono riferiti nei territori distanti dalle centrali non pare una misura necessaria e certamente non è il caso di prenderle oggi in Italia». Nessun rischio che la radioattività si possa spostare fino a qui? Nel nostro Paese non dobbiamo prendere nessuna precauzione? «Difficile pensare a una caduta di materiale radioattivo in Europa trasportato fin qui dall'aria» dice Calandrino.
Quanto a possibili contaminazioni alimentari con cibi provenienti dal Giappone, il ministero della Salute ha già informato che gli ispettori frontalieri e gli uffici di Sanità Marittima e di Frontiera (Pif e Usmaf) controllano gli alimenti «di origine animale e non» (soprattutto pesci, crostacei, caviale, soia, alghe, tè verde) che arrivano dal Giappone prodotti e confezionati dopo l'11 marzo, data del sisma. I campioni per le analisi vengono inviati ai laboratori dell'Istituto zooprofilattico sperimentale della Puglia e della Basilicata (la cui sede centrale è a Foggia) e dell'Istituto zooprofilattico sperimentale delle Regioni Lazio e Toscana (con sede a Roma) che seguono specifici protocolli tecnici per le verifiche necessarie in questo caso.
Esiste invece la possibilità di essere «contagiati» magari durante un volo aereo da un passeggero proveniente da una zona radioattiva? «Per essere pericoloso in una situazione del genere la persona in questione dovrebbe essere un pompiere che ha lavorato in una delle centrali "esplose", aver assorbito una quantità enorme di radiazioni, senza aver alcun disturbo (eventualità assai improbabile) ed essere sfuggito ai programmi di protezione e quarantena del governo giapponese» sottolinea Calandrino. «Non può essere certo il caso di una qualsiasi persona che, per esempio, arriva da Tokyo e ci si siede accanto sul nostro aereo in partenza da Bangkok per Roma».
E per nostri connazionali che tornano dal Giappone o da Paesi confinanti che controlli si possono suggerire oltre a quello di recarsi in un centro di medicina nucleare per farsi verificare magari il livello di radioattività?«Ci si può sottoporre a un normale esame del sangue e poi ripeterlo per alcune settimane per misurare il numero di granulociti, un particolare tipo di globuli bianchi» suggerisce il professor Locatelli. La ragione? «Un puro scrupolo in realtà, perché danni acuti, cioè immediati, al midollo osseo (che produce globuli rossi, globuli bianchi e piastrine) procurati dalle radiazioni dovrebbero solo riguardare chi è stato davvero vicino al luogo del disastro e dovrebbero essere accompagnati da altri disturbi, come vomito, sanguinamenti eccetera». E per chi ha subito esposizioni di questo tipo che terapie ci sono? «In caso di aplasia, cioè "distruzione" del midollo osseo, oggi ci sono specifici fattori di crescita come il G-Csf, che stimola la produzione di granulociti e quindi può in qualche misura compensare il danno. Ci sono anche fattori di crescita specifici per l'eventuale riduzione delle piastrine. Nei casi più gravi si deve invece ricorrere al trapianto di midollo, ed eventualmente all'utilizzo di cellule staminali da cordone ombelicale»
Luigi Ripamonti
18 marzo 2011(ultima modifica: 19 marzo 2011)

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