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sabato 19 maggio 2012

“Occhio che non vede…” ago che non duole

“Occhio che non vede…” ago che non duole:
Saggi i consigli che i sanitari solitamente danno ai più piccoli di chiudere gli occhi mentre subiscono una puntura, infatti in una ricerca del Charité-Universitätsmedizin di Berlino e dell’University Medical Center di Amburgo,
da piena ragione a questa consuetudine.
“Tutti sappiamo, per esperienza, che un oggetto appuntito, se ci punge, fa male”. “Quindi, l’ago di una siringa rappresenta una potenziale minaccia. Ancor più, nel momento in cui si avvicina al nostro corpo per infilarsi nella pelle” - commenta Marion Höfle, il coordinatore dello studio -. “Per questo, guardare rende il dolore causato dall’iniezione più sgradevole: ne acuisce la percezione». 
Il lavoro che è stato pubblicato sulla rivista Pain, afferma che vedere l’ago produce un’attivazione del sistema neurovegetativo, autonomo in grado di mettere la persona in uno stato di maggiore allerta e di conseguenza più sensibile ad una stimolazione dolorosa. Inoltre l’attribuzione di significato che si è dato all’oggetto o alla circostanza già vissuta in precedenza, giocherebbe un ruolo altrettanto rilevante nel modo di percepire lo stimolo.
Questo tipo di evidenza , secondo i ricercatori, potrebbe avere delle implicazione di ordine pratico per i medici. «Se prima di fare un’iniezione, essi rincuorano i pazienti, assicurando loro che la puntura sarà lieve, possono per esempio mitigare la loro ansia» suggerisce uno dei ricercatori.
La ricerca è stata condotta su 25 volontari valutandone sensazioni fastidiose percepite, attività del sistema neurovegetativo alla visione di un video nel quale si poteva vedere solo una mano che veniva punta o da un ago o da un piccolo bastoncino, la cosa interessante è che il monitor era posto in modo che gli astanti vedessero ciascuno la propria mano mentre veniva mostrato il video; nello stesso momento venivano stimolati con impulsi intracutanei di tipo elettrico che si presentavano a volte dolorosi ed altre no.I soggetti esaminati hanno così riferito uun dolore più intenso se contemporaneamente alla stimolazione vedevano nel video l’ago che pungeva la mano.In una seconda fase dello studio è stata valutata anche l’influenza delle esperienze precedenti. «Abbiamo così riscontrato che entrambi i fattori, le esperienze fatte nel corso della vita con oggetti appuntiti e le aspettative situazionali, influenzano reciprocamente la percezione di sgradevolezza» precisa Höfle. 
“I processi di integrazione sensoriale, pertanto, sono alla base del nostro sistema percettivo”. “Questi meccanismi fanno sì che le aree visive interagiscano con quelle del dolore – spiega Flavia Martini, ricercatrice all’Istituto di neuroscienze cognitive all’University College London –. “La sensazione dolorosa, in ogni caso, è intrinsecamente affettiva: il dolore, cioè, è sempre accompagnato da un’esperienza emotiva, è dunque estremamente dipendente dal nostro stato mentale ed emotivo, che è il prodotto di ciò che siamo ora, e di ciò che siamo stati”. 
“Infatti, non è necessariamente legata alla presenza e all'intensità dello stimolo doloroso” – precisa la neuroscienziata, che ha conseguito il dottorato di ricerca all’Università Bicocca di Milano – “In altre parole, possiamo sentire dolore anche in assenza di una causa evidente e misurabile”. “Perché la sensazione dolorosa è frutto di complesse interazioni nel nostro sistema nervoso centrale, altamente modulabili, come mostra questo studio tedesco”. È quindi possibile arrivare a gestire il dolore, lavorando proprio sui significati acquisiti utilizzando strategie cognitive. 

http://www.italiasalute.it/Neurologia.asp 

dr.ssa Anna Saito
18/05/2012
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