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martedì 6 luglio 2010

Trombosi:Grandi progressi con le nuove terapie

Ogni anno, in Italia, le malattie trombotiche causano circa 400 mila tra decessi e gravi invalidità: 200.000 sono attribuibili ad infarto, 150.000 ad ictus e 50.000 a Trombosi Venosa Profonda. Recentemente, la ricerca farmacologica ha compiuto, per quanto riguarda i farmaci anticoagulanti, enormi progressi, dando vita allo studio e allo sviluppo di nuove molecole in grado di modificare radicalmente lo scenario del trattamento e della prevenzione delle trombosi. 
Questo in estrema sintesi il messaggio emerso dai lavori del 21st International Thrombosis Congress in programma a Milano dal 6 al 9 luglio 2010 presso l’Hotel Marriott, presieduto dal Professor Pier Mannuccio Mannucci, professore ordinario di medicina interna all’Università di Milano e direttore della Clinica Medica presso la Fondazione IRCCS Ca' Granda Ospedale Maggiore Policlinico di Milano. La prevenzione ha un ruolo determinante, sia che si tratti di modifiche degli stili di vita per eliminare fattori di rischio quali fumo, alimentazione scorretta, sedentarietà, che di profilassi farmacologica, quando si è in presenza di situazioni che determinano, ad esempio, un'immobilizzazione forzata prolungata, interventi di chirurgia maggiore (soprattutto ortopedici), o di malattie cardiovascolari, quali la fibrillazione atriale, una tra le più comuni patologie del ritmo cardiaco, che riguarda circa l’1% della popolazione (ma ben il 10% degli ultraottantenni) e che espone ad un aumentato rischio di formazione di coaguli, che moltiplica in modo esponenziale la percentuale di ictus associati (si stima che il 15-20% dei casi di ictus sia rappresentato da persone affette da fibrillazione atriale).
“Gli attuali trattamenti antitrombotici come le eparine e gli antagonisti della vitamina K sono stati per anni (e lo sono tutt’ora) il fondamento del trattamento anticoagulante, sebbene presentino svantaggi significativi soprattutto nell’impiego a lungo termine – ha dichiarato il Professor Mannucci –. Questi aspetti hanno evidenziato la necessità di sviluppare nuovi farmaci che siano efficaci, ben tollerati e che aiutino, al contempo, a migliorare la compliance del paziente, liberandolo da periodici controlli di laboratorio o da modalità di somministrazione poco accettate, come le iniezioni sottocutanee richieste dalle eparine”. La terapia comunemente adottata per la cura dell’evento trombotico è basata su un trattamento iniziale con eparina non frazionata o eparina a basso peso molecolare per via parenterale sottocutanea e di anticoagulanti orali antagonisti della vitamina K, fino al raggiungimento di valori terapeutici in linea con gli indici di normalizzazione internazionale, per proseguire, quindi, con il solo trattamento anticoagulante orale. Sebbene l’introduzione dell’eparina a basso peso molecolare abbia semplificato il trattamento delle trombosi venose, permangono tuttavia alcuni problemi, quali la somministrazione quotidiana per via sottocutanea e, nel caso degli antagonisti della vitamina K, un monitoraggio frequente della coagulazione. Tali farmaci, infatti, oltre ad aumentare il rischio emorragico, sono di difficile gestione per le molteplici interazioni con gli alimenti o con altri farmaci che ne variamo l’assorbimento. La conseguenza è l’impossibilità di stabilire un dosaggio fisso e la necessità, dopo i controlli ematici, dei necessari aggiustamenti. Per questi motivi tali farmaci non vengono usati con regolarità o vengono troppo spesso abbandonati dai pazienti. 
“Due terzi degli ictus causati da fibrillazione atriale potrebbero essere prevenuti con una profilassi ben controllata di antagonisti della vitamina K – afferma il Professor Mannucci – ma i limiti di questo trattamento – che deve essere necessariamente mantenuto nel lungo periodo – fanno sì che solo il 35% dei pazienti con una diagnosi di fibrillazione atriale e a rischio di stroke riceva effettivamente una terapia anticoagulante. Senza dimenticare che gli ictus correlati alla fibrillazione atriale tendono ad essere particolarmente gravi e disabilitanti rispetto a quelli dipendenti da altre cause: nel 20% dei casi si rivelano fatali, nel 60% comportano una disabilità, la metà di chi viene colpito da ictus perché affetto da fibrillazione atriale muore entro il primo anno”. 
Secondo l’esperto le attuali esigenze degli specialisti nel campo delle malattie trombotiche sono: avere a disposizione anticoagulanti orali per poter estendere la profilassi nel caso di interventi chirurgici maggiori e per il trattamento a lungo termine della Trombosi Venosa Profonda, che non richiedano il monitoraggio di routine dei parametri della coagulazione. E, soprattutto, poter contare su farmaci più sicuri e più maneggevoli per la prevenzione dell’ictus nei pazienti affetti da fibrillazione atriale. La ricerca farmacologica si sta effettivamente muovendo in questa direzione. Infatti, negli ultimi anni sono state numerose le ricerche cliniche finalizzate a migliorare l’efficacia della terapia anticoagulante e la qualità di vita del paziente sottoposto a tale trattamento. Tra i nuovi farmaci più promettenti, che possano rispondere alle esigenze di medici e pazienti, è possibile menzionare tre molecole: un inibitore diretto reversibile della trombina, dabigatran exetilato, e due inibitori diretti selettivi del fattore Xa: rivaroxaban e apixaban. 

http://italiasalute.leonardo.it/Cardiologia.asp

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