Artrite:
l’«odore» di basilico
riduce il dolore
Ottimo in cucina, efficace contro le infiammazioni: il basilico potrebbe essere utilizzato per combattere l`artrite. È quanto emerge dallo studio presentato in occasione della British Pharmaceutical Conference tenutasi a Manchester dai ricercatori del Poona College of Pharmacy di Pune, in India, secondo cui la pianta avrebbe proprietà antinfiammatorie.
Gli studiosi hanno analizzato le caratteristiche di due varietà di basilico, l`Ocimum americanum e l`Ocimum tenuiflorum, scoprendo che entrambe sarebbero in grado di alleviare il dolore articolare fino al 73% nel giro di 24 ore.
"Abbiamo scoperto - spiega Vaibhav Shinde, ricercatore del Poona College of Pharmacy - che entrambe le piante possiedono proprietà antinfiammatorie paragonabili a quelle di alcuni farmaci utilizzati per la cura dell`artrite, ma a differenza di questi, il basilico non provoca effetti indesiderati, come l`infiammazione gastro-intestinale e il bruciore addominale".
Secondo i ricercatori l`effetto antinfiammatorio sarebbe dovuto all`eugenolo, l`elemento che conferisce al basilico il suo aroma caratteristico. "Tuttavia - specifica l`esperto -, altre molecole potrebbero essere coinvolte. Il nostro obiettivo è scoprire con certezza quali siano, al fine di poterle utilizzare per la realizzazione di nuovi farmaci anti-artrite".
Data: 30-09-2009
Autore: Nadia Comerci
http://salute24.ilsole24ore.com/farmaceutica/sperimentazioni/2878_Artrite:l__odore__di_basilicoriduce_il_dolore.php
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mercoledì 30 settembre 2009
Menopausa: estrogeni non pericolosi per un cervello in forma
http://salute24.ilsole24ore.com/farmaceutica/sperimentazioni/2868_Menopausa:estrogeni__sicuri__contrastano_l_Alzheimer.php
Menopausa:
estrogeni «sicuri»
contrastano l’Alzheimer
Arriva la menopausa e il cervello delle signore è più esposto all`invecchiamento. Colpa degli estrogeni se le donne si ammalano tre volte di più degli uomini di Alzheimer e altre malattie neurodegenerative. Lo sostiene uno studio condotto dal team di Tommaso Simoncini, direttore del laboratorio di Endocrinologia Ginecologia Cellulare e Molecolare (MCGEL) dell`Università di Pisa che ha puntato i riflettori sul delicato passaggio tra i 45 e i 55 anni.
È questa l`età in cui i neuroni sono più vulnerabili, spiega la ricerca pubblicata su Molecular Endocrinology. Il lavoro del MCGEL per la prima volta mette in evidenza l`importanza degli estrogeni nella biologia cellulare del cervello. “Come è noto, il cambiamento ormonale della menopausa e la carenza di estrogeni sono causa di numerosi problemi nella donna – spiega Tommaso Simoncini, direttore di MCGEL e responsabile dello studio –. In questa fase peggiorano la capacità di concentrazione e la memoria a breve termine, e si manifestano disturbi come ansia, insonnia, depressione. Inoltre, nel lungo periodo, il deficit ormonale provoca un’accelerazione dei processi neurodegenerativi che possono portare all’insorgenza di malattie più gravi, come la demenza di Alzheimer o il morbo di Parkinson”.
Il gruppo di ricerca internazionale ha infatti identificato i meccanismi attraverso i quali gli estrogeni stimolano i dendriti a crescere. "Ora sappiamo che la somministrazione di ormoni favorisce le interconnessioni neuronali - spiega Andrea Genazzani, direttore del dipartimento di Medicina della procreazione e dell’Età evolutiva - e migliora il funzionamento del cervello. Per fare un esempio, è come se la capacità operativa del nostro computer passasse da 10 a 80 giga”.
Prossimo obiettivo dello studio è comprendere quali molecole utilizzare per ripristinare le funzioni cerebrali invecchiate con estrogeni sintetici che non facciano crescere il rischio di tumore al seno. "È necessario creare delle molecole ‘ingegnerizzate’ con una struttura chimica simile a quella degli ormoni naturali e così intelligenti da attivare, ma solo in parte, il recettore degli estrogeni – conclude Genazzani –. Il fine è ottenere un effetto positivo sul cervello e non-negativo sulla mammella".
Data: 29-09-2009
Autore: c.c.
Menopausa:
estrogeni «sicuri»
contrastano l’Alzheimer
Arriva la menopausa e il cervello delle signore è più esposto all`invecchiamento. Colpa degli estrogeni se le donne si ammalano tre volte di più degli uomini di Alzheimer e altre malattie neurodegenerative. Lo sostiene uno studio condotto dal team di Tommaso Simoncini, direttore del laboratorio di Endocrinologia Ginecologia Cellulare e Molecolare (MCGEL) dell`Università di Pisa che ha puntato i riflettori sul delicato passaggio tra i 45 e i 55 anni.
È questa l`età in cui i neuroni sono più vulnerabili, spiega la ricerca pubblicata su Molecular Endocrinology. Il lavoro del MCGEL per la prima volta mette in evidenza l`importanza degli estrogeni nella biologia cellulare del cervello. “Come è noto, il cambiamento ormonale della menopausa e la carenza di estrogeni sono causa di numerosi problemi nella donna – spiega Tommaso Simoncini, direttore di MCGEL e responsabile dello studio –. In questa fase peggiorano la capacità di concentrazione e la memoria a breve termine, e si manifestano disturbi come ansia, insonnia, depressione. Inoltre, nel lungo periodo, il deficit ormonale provoca un’accelerazione dei processi neurodegenerativi che possono portare all’insorgenza di malattie più gravi, come la demenza di Alzheimer o il morbo di Parkinson”.
Il gruppo di ricerca internazionale ha infatti identificato i meccanismi attraverso i quali gli estrogeni stimolano i dendriti a crescere. "Ora sappiamo che la somministrazione di ormoni favorisce le interconnessioni neuronali - spiega Andrea Genazzani, direttore del dipartimento di Medicina della procreazione e dell’Età evolutiva - e migliora il funzionamento del cervello. Per fare un esempio, è come se la capacità operativa del nostro computer passasse da 10 a 80 giga”.
Prossimo obiettivo dello studio è comprendere quali molecole utilizzare per ripristinare le funzioni cerebrali invecchiate con estrogeni sintetici che non facciano crescere il rischio di tumore al seno. "È necessario creare delle molecole ‘ingegnerizzate’ con una struttura chimica simile a quella degli ormoni naturali e così intelligenti da attivare, ma solo in parte, il recettore degli estrogeni – conclude Genazzani –. Il fine è ottenere un effetto positivo sul cervello e non-negativo sulla mammella".
Data: 29-09-2009
Autore: c.c.
dimagrire:si può imparare a non riprender peso
Perdere peso
senza riacquistarlo:
il cervello può imparare
C’è chi può e chi non può (ma può imparare). C’è chi può stare a dieta e dimagrire, non riacquistando mai più i chili persi, e c’è invece chi, pur dimagrendo, è inesorabilmente destinato a rimettere su i chili persi con tanta fatica. La differenza nel mantenimento della perdita di peso a lungo termine, spiegano i ricercatori del Miriam Hospital di Providence (Rhode Island, Stati Uniti), la fa la risposta cerebrale agli stimoli della fame e alle immagini degli alimenti: dallo studio pubblicato sul Journal of Clinical Nutrition emerge che, attraverso la risonanza magnetica funzionale per immagini, si possono mettere in evidenza le differenze nei modelli di risposta cerebrale e, di conseguenza, spiegare perché alcune persone sono in grado di mantenere la perdita di peso, mentre altre sono predisposte a riguadagnarlo una volta perso. L’obiettivo, spiegano i ricercatori, è trovare un modo di “insegnare” soprattutto alle persone in sovrappeso e obese a rispondere agli stimoli del cibo: il mantenimento della perdita di peso, infatti, è uno degli strumenti per contrastare l’insorgenza dell’obesità, definita dall’Oms “uno dei principali problemi di salute pubblica nel mondo”.
I ricercatori hanno sottoposto immagini di alimenti a tre gruppi - persone di peso normale, soggetti obesi e individui che avevano perso almeno 15 chili ed erano riusciti a mantenere la perdita di peso per almeno tre anni - e ne hanno poi analizzate le risposte cerebrali. Dalla risonanza magnetica è emerso che davanti alle immagini di cibo le persone che erano riuscite a mantenere la perdita di peso erano più idonee ad attivare le aree del cervello associate al controllo del comportamento rispetto ai partecipanti obesi e normopeso: questi risultati, spiegano i ricercatori, suggeriscono che il mantenimento della perdita di peso a lungo termine si può imparare, apprendendo il modo di rispondere “cerebralmente” in modo diverso agli stimoli procurati dal cibo. "È possibile - spiega Jeanne McCaffery, principale autrice dello studio e docente di Psichiatria e comportamento umano alla Warren Alpert Medical School della Brown University - che queste risposte del cervello possano portare a comportamenti preventivi o correttivi che promuovano il controllo del peso a lungo termine".
Data: 21-09-2009
Autore: Miriam Cesta
senza riacquistarlo:
il cervello può imparare
C’è chi può e chi non può (ma può imparare). C’è chi può stare a dieta e dimagrire, non riacquistando mai più i chili persi, e c’è invece chi, pur dimagrendo, è inesorabilmente destinato a rimettere su i chili persi con tanta fatica. La differenza nel mantenimento della perdita di peso a lungo termine, spiegano i ricercatori del Miriam Hospital di Providence (Rhode Island, Stati Uniti), la fa la risposta cerebrale agli stimoli della fame e alle immagini degli alimenti: dallo studio pubblicato sul Journal of Clinical Nutrition emerge che, attraverso la risonanza magnetica funzionale per immagini, si possono mettere in evidenza le differenze nei modelli di risposta cerebrale e, di conseguenza, spiegare perché alcune persone sono in grado di mantenere la perdita di peso, mentre altre sono predisposte a riguadagnarlo una volta perso. L’obiettivo, spiegano i ricercatori, è trovare un modo di “insegnare” soprattutto alle persone in sovrappeso e obese a rispondere agli stimoli del cibo: il mantenimento della perdita di peso, infatti, è uno degli strumenti per contrastare l’insorgenza dell’obesità, definita dall’Oms “uno dei principali problemi di salute pubblica nel mondo”.
I ricercatori hanno sottoposto immagini di alimenti a tre gruppi - persone di peso normale, soggetti obesi e individui che avevano perso almeno 15 chili ed erano riusciti a mantenere la perdita di peso per almeno tre anni - e ne hanno poi analizzate le risposte cerebrali. Dalla risonanza magnetica è emerso che davanti alle immagini di cibo le persone che erano riuscite a mantenere la perdita di peso erano più idonee ad attivare le aree del cervello associate al controllo del comportamento rispetto ai partecipanti obesi e normopeso: questi risultati, spiegano i ricercatori, suggeriscono che il mantenimento della perdita di peso a lungo termine si può imparare, apprendendo il modo di rispondere “cerebralmente” in modo diverso agli stimoli procurati dal cibo. "È possibile - spiega Jeanne McCaffery, principale autrice dello studio e docente di Psichiatria e comportamento umano alla Warren Alpert Medical School della Brown University - che queste risposte del cervello possano portare a comportamenti preventivi o correttivi che promuovano il controllo del peso a lungo termine".
Data: 21-09-2009
Autore: Miriam Cesta
INFLUENZA A, VACCINO H1N1
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Mercoledì 30 Settembre 2009 / ultimo aggiornamento h 19:23
Roma Milano Torino Napoli Bologna Firenze Padova Venezia Verona Bari Genova Como Bergamo Brescia Varese
Il vaccino per l'influenza A potrà essere somministrato assieme a quello dell'influenza stagionale ma su arti differenti: è una delle indicazioni contenute nell'ordinanza che il Viceministro Ferruccio Fazio ha firmato oggi. Bisognerà ricorrere alla somministrazione di vaccino contro l'influenza stagionale non adiuvato. Il provvedimento individua con maggiore dettaglio le categorie di persone a cui è offerta la vaccinazione antinfluenzale con vaccino pandemico A/H1N1 a partire dal momento dell'effettiva disponibilità del farmaco.
Mercoledì 30 Settembre 2009 / ultimo aggiornamento h 19:23
Roma Milano Torino Napoli Bologna Firenze Padova Venezia Verona Bari Genova Como Bergamo Brescia Varese
Il vaccino per l'influenza A potrà essere somministrato assieme a quello dell'influenza stagionale ma su arti differenti: è una delle indicazioni contenute nell'ordinanza che il Viceministro Ferruccio Fazio ha firmato oggi. Bisognerà ricorrere alla somministrazione di vaccino contro l'influenza stagionale non adiuvato. Il provvedimento individua con maggiore dettaglio le categorie di persone a cui è offerta la vaccinazione antinfluenzale con vaccino pandemico A/H1N1 a partire dal momento dell'effettiva disponibilità del farmaco.
Le aderenze: cosa sono, come si formano, che conseguenze possono avere e, soprattutto, se e come si possono prevenire
Le aderenze: cosa sono, come si formano, che conseguenze possono avere e, soprattutto, se e come si possono prevenire
La formazione di aderenze in seguito ad un intervento chirurgico addominale rappresenta una problematica di assoluto rilievo sia per il medico che per il paziente in quanto è spesso all'origine di complicanze post-operatorie e altrettanto frequentemente impongono la necessità di un nuovo intervento chirurgico. Esse fanno parte dei normali processi di riparazione tissutale in seguito ad un trauma chirurgico tuttavia se esuberanti possono determinare estese reazioni cicatriziali con formazione di tessuto fibroso che può inglobare tra loro i diversi visceri addominali o determinare tenaci adesioni tra questi ed il peritoneo. A tale proposito si ricorda come in base alla densità del tessuto fibroso le aderenze possano essere classificate in lievi (trasparenti e vascolarizzate), in genere prive di significato clinico e gravi (dense, tenaci e poco vascolarizzate) spesso all'origine di sintomatologie complesse.
Le stesse possono avere un'estensione localizzata al sito chirurgico od interessare più organi ed apparati. La loro incidenza dopo intervento chirurgico tradizionale oscilla tra il 55% ed il 100% delle pazienti che sono state sottoposte ad intervento pelvico ricostruttivo e sembra che anche l'utilizzo di tecniche chirurgiche mini-invasive come la laparoscopia non riduca in maniera sensibile la formazione di aderenze nel sito chirurgico.
Le conseguenze cliniche delle aderenze sono rappresentate da:
Dolore pelvico cronico: è possibile identificare la causa del dolore pelvico cronico nelle aderenze in circa il 13-36% delle donne e spesso le stesse aderenze sono all'origine di dispareunia.
Sterilità: si calcola che circa il 40% dei casi di sterilità nella donna sia causato da aderenze pelviche. Le stesse possono interferire con la fecondazione a causa delle alterazioni anatomo-funzionali che determinano a carico delle tube di Falloppio.
Ostruzione dell'intestino tenue: sicuramente maggiormente frequente in età pediatrica tuttavia in un'indagine condotta su 48 donne affette da ostruzione intestinale acuta il 66% avevano precedentemente subito interventi chirurgici pelvici.
Intervento chirurgico successivo: una delle conseguenze più spiacevoli delle aderenze è la necessità di ricorrere ad un intervento chirurgico successivo di adesiolisi laddove la sintomatologia lo giustifichi.
Alla formazione di aderenze contribuiscono diversi fattori: il trauma meccanico, l'infezione e l'infiammazione che determinano la formazione di fibrina nell'area della lesione e la successiva formazione di tessuto cicatriziale, la riduzione del flusso sanguigno locale ed un inadeguato controllo del sanguinamento nel sito chirurgico.
La prevenzione o la riduzione dell'estensione della reazione aderenziale si basa essenzialmente sull'utilizzo di farmaci che riducano la risposta infiammatoria (corticosteroidi), sulla prevenzione della formazione di fibrina o sull'induzione della fibrinolisi, sulla separazione meccanica delle superfici esposte, attraverso il posizionamento di una barriera fisica sulla superficie del tessuto danneggiato al fine di impedire il contatto con organi o strutture adiacenti.
Dr. Michele Meschia
Direttore U.O. Ginecologia ed Ostetricia
Ospedale “G. Fornaroli”, Magenta
Top
La formazione di aderenze in seguito ad un intervento chirurgico addominale rappresenta una problematica di assoluto rilievo sia per il medico che per il paziente in quanto è spesso all'origine di complicanze post-operatorie e altrettanto frequentemente impongono la necessità di un nuovo intervento chirurgico. Esse fanno parte dei normali processi di riparazione tissutale in seguito ad un trauma chirurgico tuttavia se esuberanti possono determinare estese reazioni cicatriziali con formazione di tessuto fibroso che può inglobare tra loro i diversi visceri addominali o determinare tenaci adesioni tra questi ed il peritoneo. A tale proposito si ricorda come in base alla densità del tessuto fibroso le aderenze possano essere classificate in lievi (trasparenti e vascolarizzate), in genere prive di significato clinico e gravi (dense, tenaci e poco vascolarizzate) spesso all'origine di sintomatologie complesse.
Le stesse possono avere un'estensione localizzata al sito chirurgico od interessare più organi ed apparati. La loro incidenza dopo intervento chirurgico tradizionale oscilla tra il 55% ed il 100% delle pazienti che sono state sottoposte ad intervento pelvico ricostruttivo e sembra che anche l'utilizzo di tecniche chirurgiche mini-invasive come la laparoscopia non riduca in maniera sensibile la formazione di aderenze nel sito chirurgico.
Le conseguenze cliniche delle aderenze sono rappresentate da:
Dolore pelvico cronico: è possibile identificare la causa del dolore pelvico cronico nelle aderenze in circa il 13-36% delle donne e spesso le stesse aderenze sono all'origine di dispareunia.
Sterilità: si calcola che circa il 40% dei casi di sterilità nella donna sia causato da aderenze pelviche. Le stesse possono interferire con la fecondazione a causa delle alterazioni anatomo-funzionali che determinano a carico delle tube di Falloppio.
Ostruzione dell'intestino tenue: sicuramente maggiormente frequente in età pediatrica tuttavia in un'indagine condotta su 48 donne affette da ostruzione intestinale acuta il 66% avevano precedentemente subito interventi chirurgici pelvici.
Intervento chirurgico successivo: una delle conseguenze più spiacevoli delle aderenze è la necessità di ricorrere ad un intervento chirurgico successivo di adesiolisi laddove la sintomatologia lo giustifichi.
Alla formazione di aderenze contribuiscono diversi fattori: il trauma meccanico, l'infezione e l'infiammazione che determinano la formazione di fibrina nell'area della lesione e la successiva formazione di tessuto cicatriziale, la riduzione del flusso sanguigno locale ed un inadeguato controllo del sanguinamento nel sito chirurgico.
La prevenzione o la riduzione dell'estensione della reazione aderenziale si basa essenzialmente sull'utilizzo di farmaci che riducano la risposta infiammatoria (corticosteroidi), sulla prevenzione della formazione di fibrina o sull'induzione della fibrinolisi, sulla separazione meccanica delle superfici esposte, attraverso il posizionamento di una barriera fisica sulla superficie del tessuto danneggiato al fine di impedire il contatto con organi o strutture adiacenti.
Dr. Michele Meschia
Direttore U.O. Ginecologia ed Ostetricia
Ospedale “G. Fornaroli”, Magenta
Top
influenza suina:bimbo di 3 mesi in rianimazione,ma sta migliorando
VIRUS A, BIMBO DI 3 MESI
IN RIANIMAZIONE A MONZA
Mostra «lievi segni di miglioramento», stamani, il bimbo di 3 mesi ricoverato in rianimazione all'ospedale San Gerardo di Monza per complicazioni polmonari e infezione da virus H1N1. Il neonato si trova in Neonatologia al San Gerardo, e le «sue condizioni - spiegano dall'ospedale - in precedenza risultavano più critiche. Oggi il piccolo presenta lievi segni di miglioramento, ma la prognosi resta riservata». Ai primi sintomi di malessere il bebè era stato portato dai genitori all'ospedale di Legnano, da qui è stato trasferito a Monza, dove il San Gerardo è centro di riferimento in Lombardia per i pazienti in condizioni critiche dopo il contagio. Il test per accertare la presenza della nuova influenza ha confermato l'infezione. Dall'ospedale fanno sapere che ulteriori informazioni dovrebbero essere fornite oggi nel corso di una conferenza stampa.
IN RIANIMAZIONE A MONZA
Mostra «lievi segni di miglioramento», stamani, il bimbo di 3 mesi ricoverato in rianimazione all'ospedale San Gerardo di Monza per complicazioni polmonari e infezione da virus H1N1. Il neonato si trova in Neonatologia al San Gerardo, e le «sue condizioni - spiegano dall'ospedale - in precedenza risultavano più critiche. Oggi il piccolo presenta lievi segni di miglioramento, ma la prognosi resta riservata». Ai primi sintomi di malessere il bebè era stato portato dai genitori all'ospedale di Legnano, da qui è stato trasferito a Monza, dove il San Gerardo è centro di riferimento in Lombardia per i pazienti in condizioni critiche dopo il contagio. Il test per accertare la presenza della nuova influenza ha confermato l'infezione. Dall'ospedale fanno sapere che ulteriori informazioni dovrebbero essere fornite oggi nel corso di una conferenza stampa.
martedì 29 settembre 2009
quattordicenne muore dopo la vaccinazione contro il papilloma virus
Era un'alunna della Blue Coat Church of England. Aveva 14 anni ed è morta ieri pomeriggio all'ospedale di Coventry. Poche ore prima era stata vaccinata, come gli altri 1.350 studenti della sua scuola, con il Cervarix vaccino per la prevenzione del tumore alla cervice uterina. Il National Health Service (il Servizio sanitario nazionale d'oltremanica) ha fatto sapere che non ci sarebbe un legame tra il medicinale e la morte. In ogni caso a Coventry tutte le vaccinazioni sono state sospese in via precauzionale, anche per capire se magari si sia trattato di una partita difettosa.. "Altre ragazze si sono sentite male con nausea e vertigini dopo la vaccinazione - spiega Julie Roberts, preside dell'istituto di Coventry, al Times - e sono state mandate a casa".
Il Cervarix è un medicinale che combatte il papilloma virus, un'infezione trasmessa per via sessuale e che causa nel 70% dei casi il tumore all'utero. In Gran Bretagna viene utilizzato per la vaccinazione di massa degli studenti ed ha isostituito il più costoso Gardasil: sono stati più di un milione e 400 mila quelli trattati nell'ultimo anno, da quando il programma ha preso il via. Il Cervarix dal 2007 viene venduto anche sul mercato italiano.
Il Cervarix è un medicinale che combatte il papilloma virus, un'infezione trasmessa per via sessuale e che causa nel 70% dei casi il tumore all'utero. In Gran Bretagna viene utilizzato per la vaccinazione di massa degli studenti ed ha isostituito il più costoso Gardasil: sono stati più di un milione e 400 mila quelli trattati nell'ultimo anno, da quando il programma ha preso il via. Il Cervarix dal 2007 viene venduto anche sul mercato italiano.
depressione negli adolescenti:ecco i sintomi
Depressione negli adolescenti: i sintomi da non trascurare
tratto da: David Brent e Boris Birmaher, Adolescent depression,
New England Journal of Medicine 347: 667-671, 2002, August 28
commentato da: dr.ssa Alessandra Graziottin
Attenzione: la depressione non è solo una malattia "per adulti". Per molti ragazzi e ragazze, specie in autunno, è in agguato una vera e propria depressione che, purtroppo, nei giovani spesso non viene riconosciuta.
Il rischio reale? Ben il 5% degli adolescenti e l'1% dei bambini soffre di una depressione clinicamente rilevante. Maschietti e femminucce hanno lo stesso rischio fino alla pubertà; dopo, le ragazzine ne sono vittima due volte più dei maschi, per il negativo effetto che le fluttuazioni ormonali degli estrogeni possono avere sull'umore.
Svogliatezza, noia, tristezza, irritabilità, sonnolenza, incapacità di concentrarsi entrano allora sotto il grande giudizio morale di "fannullone/a", "buono/a a nulla", "incapace", "addormentato/a": affermazioni che non fanno che peggiorare il già nero umore del ragazzo o della ragazza.
Come accorgersi che il proprio figlio/a – ma anche un amico/a o un allievo/a - soffre di qualcosa di più della breve malinconia per la fine delle vacanze?
Se presenta 5 dei sintomi seguenti, parlatene con il vostro medico di famiglia:
umore depresso per la maggior parte della giornata;
diminuito interesse e piacere in tutte o quasi le attività quotidiane (chiaro che se non ha voglia di andare a scuola ma si allena di gusto a calcio o va in palestra allegramente tre volte la settimana non è affatto depresso, e va incoraggiato a studiare!);
marcata variazione di peso in più o in meno rispetto al peso normale e, nei bambini, una crescita non adeguata all'aumento normale per l'età. Per essere concreti, è già un segno di allarme un aumento o una perdita di peso superiore al 5%: il che significa circa due chili e mezzo in una ragazza di cinquanta o tre chili e mezzo in un ragazzo di 70;
insonnia, o, all'opposto, ipersonnia;
agitazione o ritardo motorio;
astenia, facile affaticabilità e scarsa energia;
sentimenti di inadeguatezza oppure eccessivi sensi di colpa;
diminuita capacità di pensare, di concentrarsi, o indecisione eccessiva;
ricorrenti pensieri di morte, pensieri suicidari e, più allarmante ancora, tentativi concreti di suicidio. Le ragazze lo minacciano di più, e fanno dei tentativi più dimostrativi che realmente autolesivi; i maschi invece ne parlano poco ma se si avvitano in una depressione maligna lo mettono in pratica in modo definitivo, con un rapporto di ben 1 a 7 tra femmine e maschi.
È importante riconoscere questi segni per non peggiorare la situazione con rimproveri, urla o peggio, per avere una diagnosi differenziale accurata, rispetto ad altre patologie come le anemie, le disfunzioni della tiroide e altre che possono dare una sintomatologia in parte simile, e soprattutto, per iniziare le cure adeguate.
Il 20% dei ragazzi con depressione ad inizio così precoce sviluppa poi il cosiddetto "disturbo bipolare": una vulnerabilità ad eccessive fluttuazione dell'umore, in cui le fasi di depressione si alternano a periodi di vera maniacalità, caratterizzata da scarso bisogno di dormire, euforia immotivata, esuberanza di energia, idee grandiose su di sé e i propri progetti, senza alcun fondamento reale, e una elevata probabilità di cimentarsi o sfidarsi in attività ad alto rischio: sport o guida veloce, assunzione di droghe eccitanti, eccesso di alcolici.
In pratica, cosa fare? Due sono le strade, complementari:
una psicoterapia comportamentale breve (8-16 sedute a frequenza settimanale), con uno psicoterapeuta davvero esperto in quest'ambito, che aiuti l'adolescente ad acquisire una diversa capacità di affrontare le difficoltà, a migliorare l'autostima, a modificare i modi di pensare autosvalutativi, a migliorare le sue capacità di stare con gli altri;
un aiuto farmacologico, vista la grande efficacia e maneggevolezza dei farmaci antidepressivi di ultima generazione. Senza pregiudizi: la depressione ha una solidissima base biologica, ed è una malattia come la polmonite, la cefalea o il mal di denti. Con le giuste cure aiutiamo il corpo a recuperare. I problemi non cambiano, ma migliora la capacità di affrontarli bene: è questo che conta.
Chiaro: è essenziale un atteggiamento affettuoso da parte della famiglia, modificando anche qui i comportamenti aggressivi e distruttivi. Ed è importante incoraggiare il figlio, o figlia che sia, a fare sport di gruppo, a coltivare una passione, per ritrovare il gusto di provarsi nelle cose, di acquisire una competenza specifica, di stare con gli altri in modo costruttivo.
La depressione è una richiesta d'aiuto: per ritrovare il gusto di vivere e la stima di sé.
http://www.theramex.it/thol/pages/canali/ciclo/spAdo/depressione/depressione.jsp
tratto da: David Brent e Boris Birmaher, Adolescent depression,
New England Journal of Medicine 347: 667-671, 2002, August 28
commentato da: dr.ssa Alessandra Graziottin
Attenzione: la depressione non è solo una malattia "per adulti". Per molti ragazzi e ragazze, specie in autunno, è in agguato una vera e propria depressione che, purtroppo, nei giovani spesso non viene riconosciuta.
Il rischio reale? Ben il 5% degli adolescenti e l'1% dei bambini soffre di una depressione clinicamente rilevante. Maschietti e femminucce hanno lo stesso rischio fino alla pubertà; dopo, le ragazzine ne sono vittima due volte più dei maschi, per il negativo effetto che le fluttuazioni ormonali degli estrogeni possono avere sull'umore.
Svogliatezza, noia, tristezza, irritabilità, sonnolenza, incapacità di concentrarsi entrano allora sotto il grande giudizio morale di "fannullone/a", "buono/a a nulla", "incapace", "addormentato/a": affermazioni che non fanno che peggiorare il già nero umore del ragazzo o della ragazza.
Come accorgersi che il proprio figlio/a – ma anche un amico/a o un allievo/a - soffre di qualcosa di più della breve malinconia per la fine delle vacanze?
Se presenta 5 dei sintomi seguenti, parlatene con il vostro medico di famiglia:
umore depresso per la maggior parte della giornata;
diminuito interesse e piacere in tutte o quasi le attività quotidiane (chiaro che se non ha voglia di andare a scuola ma si allena di gusto a calcio o va in palestra allegramente tre volte la settimana non è affatto depresso, e va incoraggiato a studiare!);
marcata variazione di peso in più o in meno rispetto al peso normale e, nei bambini, una crescita non adeguata all'aumento normale per l'età. Per essere concreti, è già un segno di allarme un aumento o una perdita di peso superiore al 5%: il che significa circa due chili e mezzo in una ragazza di cinquanta o tre chili e mezzo in un ragazzo di 70;
insonnia, o, all'opposto, ipersonnia;
agitazione o ritardo motorio;
astenia, facile affaticabilità e scarsa energia;
sentimenti di inadeguatezza oppure eccessivi sensi di colpa;
diminuita capacità di pensare, di concentrarsi, o indecisione eccessiva;
ricorrenti pensieri di morte, pensieri suicidari e, più allarmante ancora, tentativi concreti di suicidio. Le ragazze lo minacciano di più, e fanno dei tentativi più dimostrativi che realmente autolesivi; i maschi invece ne parlano poco ma se si avvitano in una depressione maligna lo mettono in pratica in modo definitivo, con un rapporto di ben 1 a 7 tra femmine e maschi.
È importante riconoscere questi segni per non peggiorare la situazione con rimproveri, urla o peggio, per avere una diagnosi differenziale accurata, rispetto ad altre patologie come le anemie, le disfunzioni della tiroide e altre che possono dare una sintomatologia in parte simile, e soprattutto, per iniziare le cure adeguate.
Il 20% dei ragazzi con depressione ad inizio così precoce sviluppa poi il cosiddetto "disturbo bipolare": una vulnerabilità ad eccessive fluttuazione dell'umore, in cui le fasi di depressione si alternano a periodi di vera maniacalità, caratterizzata da scarso bisogno di dormire, euforia immotivata, esuberanza di energia, idee grandiose su di sé e i propri progetti, senza alcun fondamento reale, e una elevata probabilità di cimentarsi o sfidarsi in attività ad alto rischio: sport o guida veloce, assunzione di droghe eccitanti, eccesso di alcolici.
In pratica, cosa fare? Due sono le strade, complementari:
una psicoterapia comportamentale breve (8-16 sedute a frequenza settimanale), con uno psicoterapeuta davvero esperto in quest'ambito, che aiuti l'adolescente ad acquisire una diversa capacità di affrontare le difficoltà, a migliorare l'autostima, a modificare i modi di pensare autosvalutativi, a migliorare le sue capacità di stare con gli altri;
un aiuto farmacologico, vista la grande efficacia e maneggevolezza dei farmaci antidepressivi di ultima generazione. Senza pregiudizi: la depressione ha una solidissima base biologica, ed è una malattia come la polmonite, la cefalea o il mal di denti. Con le giuste cure aiutiamo il corpo a recuperare. I problemi non cambiano, ma migliora la capacità di affrontarli bene: è questo che conta.
Chiaro: è essenziale un atteggiamento affettuoso da parte della famiglia, modificando anche qui i comportamenti aggressivi e distruttivi. Ed è importante incoraggiare il figlio, o figlia che sia, a fare sport di gruppo, a coltivare una passione, per ritrovare il gusto di provarsi nelle cose, di acquisire una competenza specifica, di stare con gli altri in modo costruttivo.
La depressione è una richiesta d'aiuto: per ritrovare il gusto di vivere e la stima di sé.
http://www.theramex.it/thol/pages/canali/ciclo/spAdo/depressione/depressione.jsp
Farmaci che interferiscono con l'azione contraccettiva della pillola (la cui azione è accertata o fortemente probabile)
Farmaci che interferiscono con l'azione contraccettiva della pillola (la cui azione è accertata o fortemente probabile)
Anticonvulsivanti Idantoine, barbiturici, primidone, fenobarbital, carbamazepina
Antibiotici Rifampicina, penicillina e i suoi derivati (ampicillina, oxacillina, fenossimetilpenicillina), tetracicline, griseofulvina, neomicina, cefalosporine, triacetiloleandomicina, isoniazide, nitrofurantoina, cloramfenicolo
Antinfiammatori Fenilbutazone
Fitoterapici Hypericum perforatum
Le donne che assumono i farmaci citati per brevi periodi devono prendere altre misure contraccettive non-ormonali (ad eccezione di quelle del ritmo e della temperatura basale), durante il periodo di trattamento e fino a 7 giorni dopo.
Se questi 7 giorni cadono oltre il termine di una confezione, occorre iniziare la successiva senza interruzione. In tal caso, non si deve attendere la simil-mestruazione prima del termine della confezione successiva. Se la simil-mestruazione non si verifica durante la pausa, è opportuno escludere una gravidanza in atto prima di proseguire l'assunzione.
Sotto trattamento con rifampicina sono necessarie ulteriori precauzioni contraccettive fino a 4 settimane dopo il termine del trattamento, anche se l'assunzione è avvenuta per un breve periodo. Il fabbisogno di antidiabetici orali o di insulina può variare a seguito dell'influenza sulla tolleranza al glucosio.
http://www.theramex.it/thol/pages/canali/contraccezione/tabSal/tab.jsp#apertura
Anticonvulsivanti Idantoine, barbiturici, primidone, fenobarbital, carbamazepina
Antibiotici Rifampicina, penicillina e i suoi derivati (ampicillina, oxacillina, fenossimetilpenicillina), tetracicline, griseofulvina, neomicina, cefalosporine, triacetiloleandomicina, isoniazide, nitrofurantoina, cloramfenicolo
Antinfiammatori Fenilbutazone
Fitoterapici Hypericum perforatum
Le donne che assumono i farmaci citati per brevi periodi devono prendere altre misure contraccettive non-ormonali (ad eccezione di quelle del ritmo e della temperatura basale), durante il periodo di trattamento e fino a 7 giorni dopo.
Se questi 7 giorni cadono oltre il termine di una confezione, occorre iniziare la successiva senza interruzione. In tal caso, non si deve attendere la simil-mestruazione prima del termine della confezione successiva. Se la simil-mestruazione non si verifica durante la pausa, è opportuno escludere una gravidanza in atto prima di proseguire l'assunzione.
Sotto trattamento con rifampicina sono necessarie ulteriori precauzioni contraccettive fino a 4 settimane dopo il termine del trattamento, anche se l'assunzione è avvenuta per un breve periodo. Il fabbisogno di antidiabetici orali o di insulina può variare a seguito dell'influenza sulla tolleranza al glucosio.
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Ecografia pelvica:cos'è,perchè e quando farla
Ecografia pelvica
Dagli anni '80 ha cominciato ad entrare in largo uso in ginecologia e ostetricia l'ecografia. La sonda ecografica, appoggiata sull'addome (ecografia transaddominale) o inserita in vagina (ecografia transvaginale) emette un fascio di ultrasuoni che incontrando le strutture anatomiche le attraversa e viene riflesso indietro diversamente a seconda della loro natura e densità, generando su uno schermo un'immagine di ritorno.
Si tratta di un esame innocuo per l'assenza di radiazioni ionizzanti, non doloroso, di esecuzione relativamente semplice ed economica, con risultato immediato. Con l'ecografia pelvica è possibile in campo ginecologico visualizzare l'utero, l'endometrio, le ovaie, la vescica, evidenziando quindi qualsiasi alterazione cui questi organi possono andare incontro, ivi compresa naturalmente la patologia tumorale.
L'ecografia pelvica transaddominale si esegue soprattutto nelle pazienti che non hanno avuto rapporti sessuali o in caso di masse pelviche di grosse dimensioni, e richiede la presenza di un buon riempimento vescicale (per fornire contrasto all'immagine e spingere indietro le anse intestinali). Negli altri casi è preferibile la via transvaginale, che non richiede riempimento vescicale e fornisce informazioni più chiare e dettagliate.
Nella valutazione delle neoformazioni pelviche all'immagine ecografica si aggiunge le studio del flusso sanguigno (Dopplerflussimetria), in quanto le caratteristiche della vascolarizzazione (irrorazione sanguigna) possono essere indicative della natura benigna o maligna della lesione.
Se l'immagine ecografica suggerisce la presenza di una neoformazione dell'endometrio (polipo o mioma) si può eseguire un'isterosonografia, cioè un'ecografia eseguita dopo introduzione nella cavità uterina di una soluzione acquosa, che fornendo un mezzo di contrasto consente di mettere meglio in evidenza queste lesioni.
http://www.theramex.it/thol/pages/canali/salute/dintorni/spOnc/ecoPel.jsp
Dagli anni '80 ha cominciato ad entrare in largo uso in ginecologia e ostetricia l'ecografia. La sonda ecografica, appoggiata sull'addome (ecografia transaddominale) o inserita in vagina (ecografia transvaginale) emette un fascio di ultrasuoni che incontrando le strutture anatomiche le attraversa e viene riflesso indietro diversamente a seconda della loro natura e densità, generando su uno schermo un'immagine di ritorno.
Si tratta di un esame innocuo per l'assenza di radiazioni ionizzanti, non doloroso, di esecuzione relativamente semplice ed economica, con risultato immediato. Con l'ecografia pelvica è possibile in campo ginecologico visualizzare l'utero, l'endometrio, le ovaie, la vescica, evidenziando quindi qualsiasi alterazione cui questi organi possono andare incontro, ivi compresa naturalmente la patologia tumorale.
L'ecografia pelvica transaddominale si esegue soprattutto nelle pazienti che non hanno avuto rapporti sessuali o in caso di masse pelviche di grosse dimensioni, e richiede la presenza di un buon riempimento vescicale (per fornire contrasto all'immagine e spingere indietro le anse intestinali). Negli altri casi è preferibile la via transvaginale, che non richiede riempimento vescicale e fornisce informazioni più chiare e dettagliate.
Nella valutazione delle neoformazioni pelviche all'immagine ecografica si aggiunge le studio del flusso sanguigno (Dopplerflussimetria), in quanto le caratteristiche della vascolarizzazione (irrorazione sanguigna) possono essere indicative della natura benigna o maligna della lesione.
Se l'immagine ecografica suggerisce la presenza di una neoformazione dell'endometrio (polipo o mioma) si può eseguire un'isterosonografia, cioè un'ecografia eseguita dopo introduzione nella cavità uterina di una soluzione acquosa, che fornendo un mezzo di contrasto consente di mettere meglio in evidenza queste lesioni.
http://www.theramex.it/thol/pages/canali/salute/dintorni/spOnc/ecoPel.jsp
MAMMOGRAFIA E PAP TEST:cosa sono e quando farli
MAMMOGRAFIA E PAP TEST: QUANDO FARLI E PERCHE'
A cura del Dott.sa Rossana Berardi
MAMMOGRAFIA E PAP TEST
Nei Paesi industrializzati il carcinoma mammario è, per incidenza e mortalità, al primo posto tra i tumori maligni della popolazione femminile. In Italia ogni anno il tumore del seno colpisce 31.000 donne e causa circa 11.000 decessi, rappresentando, così, la prima causa di morte per tumore nel sesso femminile. In generale è stato calcolato che una donna su 10 svilupperà il cancro della mammella nel corso della sua vita.
Soprattutto in passato, il segno abituale di presentazione era costituito da un nodulo o un ispessimento mammario palpabile e non dolente scoperto in genere dalla paziente stessa. Tra gli altri segni si annoveravano l'irritazione della pelle, l'alterazione, la retrazione, il dolore e la fragilità del capezzolo, la presenza di secrezione.
Attualmente, col diffondersi dell'uso della mammografia, è sempre più frequente il riscontro di anormalità mammografiche non palpabili.
Mammografia
La mammografia è un esame radiologico diretto della mammella che si esegue comprimendo una mammella alla volta su un apposito sostegno ed eseguendo radiografie con riprese dall'alto verso in basso ed obliquamente. Tale esame fornisce informazioni sulle strutture delle ghiandole e sulle eventuali alterazioni della mammella consentendone l'esplorazione in tutta la sua completezza. Il programma di screening prevede che a tutte le donne di età compresa fra i 50 e i 70 anni debba essere offerta una mammografia di screening ogni due anni perché è l'unica metodica che permette al medico di diagnosticare neoplasie della mammella anche in fase molto precoce, quando sono di dimensioni a volte di pochi millimetri, ancora non palpabili né documentabili con altri esami medici. Inoltre l'esame ripetuto della mammografia non è rischioso.
Il carcinoma della cervice uterina è uno dei tumori più comuni nel mondo e risulta particolarmente frequente nei paesi in via di sviluppo, dove rappresenta la maggiore causa di morte nella donna tra i 35 e i 45 anni. Una stima recente prevede nel mondo 440.000 nuovi casi ogni anno, di cui l'80% nei paesi in via di sviluppo. Il tumore del collo dell'utero è la quarta neoplasia per frequenza nella donna e rappresenta il 6% di tutte le neoplasie femminili con circa 3700 nuovi casi in Italia per anno. La mortalità per questa neoplasia in Italia è di 4 casi su 100.000 e si è ridotta di circa un terzo rispetto agli anni '50, a seguito di una più precoce diagnosi dovuta soprattutto ad una sempre maggiore sensibilizzazione delle donne mediante importanti campagne di screening con il PAP test che consente una diagnosi precoce.
Pubblicità
PAP test
Il PAP test consiste in un prelievo, mediante una spatolina, di cellule del collo dell'utero mediante il quale è possibile di identificare eventuali anomalie di tali cellule. L'indagine è utile sia per evidenziare la presenza di fenomeni infiammatori o infettivi, sia la presenza di lesioni precancerose che possono precedere, talvolta anche di alcuni anni, la formazione di una neoplasia del collo dell'utero, sia, infine, le lesioni cancerose.
Le raccomandazioni della CEE, recentemente approvate dalla Commissione Oncologica nazionale, identificano la popolazione bersaglio in quella di età compresa tra i 25 e i 64 anni con un intervallo di screening di tre anni. Ogni donna, che ha iniziato ad avere rapporti sessuali, anche in assenza di qualsiasi disturbo, dovrebbe comunque fare il PAP test.Di fondamentale importanza è che tutte le donne aderiscano ai programmi di screening perché questi consentono in molti casi una diagnosi pre-clinica ed ampie possibilità di guarigione con terapie conservative e poco aggressive.
http://www.benessere.com/salute/prevenzione/mammografia_pap.htm
A cura del Dott.sa Rossana Berardi
MAMMOGRAFIA E PAP TEST
Nei Paesi industrializzati il carcinoma mammario è, per incidenza e mortalità, al primo posto tra i tumori maligni della popolazione femminile. In Italia ogni anno il tumore del seno colpisce 31.000 donne e causa circa 11.000 decessi, rappresentando, così, la prima causa di morte per tumore nel sesso femminile. In generale è stato calcolato che una donna su 10 svilupperà il cancro della mammella nel corso della sua vita.
Soprattutto in passato, il segno abituale di presentazione era costituito da un nodulo o un ispessimento mammario palpabile e non dolente scoperto in genere dalla paziente stessa. Tra gli altri segni si annoveravano l'irritazione della pelle, l'alterazione, la retrazione, il dolore e la fragilità del capezzolo, la presenza di secrezione.
Attualmente, col diffondersi dell'uso della mammografia, è sempre più frequente il riscontro di anormalità mammografiche non palpabili.
Mammografia
La mammografia è un esame radiologico diretto della mammella che si esegue comprimendo una mammella alla volta su un apposito sostegno ed eseguendo radiografie con riprese dall'alto verso in basso ed obliquamente. Tale esame fornisce informazioni sulle strutture delle ghiandole e sulle eventuali alterazioni della mammella consentendone l'esplorazione in tutta la sua completezza. Il programma di screening prevede che a tutte le donne di età compresa fra i 50 e i 70 anni debba essere offerta una mammografia di screening ogni due anni perché è l'unica metodica che permette al medico di diagnosticare neoplasie della mammella anche in fase molto precoce, quando sono di dimensioni a volte di pochi millimetri, ancora non palpabili né documentabili con altri esami medici. Inoltre l'esame ripetuto della mammografia non è rischioso.
Il carcinoma della cervice uterina è uno dei tumori più comuni nel mondo e risulta particolarmente frequente nei paesi in via di sviluppo, dove rappresenta la maggiore causa di morte nella donna tra i 35 e i 45 anni. Una stima recente prevede nel mondo 440.000 nuovi casi ogni anno, di cui l'80% nei paesi in via di sviluppo. Il tumore del collo dell'utero è la quarta neoplasia per frequenza nella donna e rappresenta il 6% di tutte le neoplasie femminili con circa 3700 nuovi casi in Italia per anno. La mortalità per questa neoplasia in Italia è di 4 casi su 100.000 e si è ridotta di circa un terzo rispetto agli anni '50, a seguito di una più precoce diagnosi dovuta soprattutto ad una sempre maggiore sensibilizzazione delle donne mediante importanti campagne di screening con il PAP test che consente una diagnosi precoce.
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PAP test
Il PAP test consiste in un prelievo, mediante una spatolina, di cellule del collo dell'utero mediante il quale è possibile di identificare eventuali anomalie di tali cellule. L'indagine è utile sia per evidenziare la presenza di fenomeni infiammatori o infettivi, sia la presenza di lesioni precancerose che possono precedere, talvolta anche di alcuni anni, la formazione di una neoplasia del collo dell'utero, sia, infine, le lesioni cancerose.
Le raccomandazioni della CEE, recentemente approvate dalla Commissione Oncologica nazionale, identificano la popolazione bersaglio in quella di età compresa tra i 25 e i 64 anni con un intervallo di screening di tre anni. Ogni donna, che ha iniziato ad avere rapporti sessuali, anche in assenza di qualsiasi disturbo, dovrebbe comunque fare il PAP test.Di fondamentale importanza è che tutte le donne aderiscano ai programmi di screening perché questi consentono in molti casi una diagnosi pre-clinica ed ampie possibilità di guarigione con terapie conservative e poco aggressive.
http://www.benessere.com/salute/prevenzione/mammografia_pap.htm
controllo della pressione arteriosa:quando,i valori ottimali
fonte: benessere.com
Prevenzione:
CONTROLLO DELL'IPERTENSIONE
E’ utile un controllo periodico della pressione arteriosa?
L’ipertensione arteriosa è uno dei principali e più insidiosi fattori che contribuiscono allo sviluppo delle malattie cardiovascolari, che sono la prima causa di morte ed invalidità nei paesi industrializzati.
In Italia 10 milioni di persone sono ipertesi (circa il 20 % degli adulti e il 35 % degli anziani), poco più della metà sa di esserlo e di questi solo la metà assume una terapia; pertanto meno di un terzo degli italiani affetti da ipertensione arteriosa ha dei valori di pressione soddisfacenti.Questi dati indicano chiaramente come un periodico controllo della pressione arteriosa sia quanto mai consigliabile, anche per soggetti giovani e sani; questo anche alla luce dei sempre minori effetti collaterali e sempre maggiore efficacia della terapia antipertensiva eventualmente instaurabile.
Classifica dei valori pressori, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS)
Pressione arteriosa
(mm di mercurio-mmHg)
Sistolica
(massima)
Diastolica (minima)
ottimale
< 120
< 80
normale
< 130
< 85
borderline (valori limite) *
140-149
90-94
Ipertensione di grado lieve
140-159
90-99
Ipertensione di grado moderato
160-179
100-109
Ipertensione di grado grave
> 180
> 110
* nelle persone anziane una pressione arteriosa fino a 140/90 mmHg è ritenuta ancora soddisfacente
Ci sono poi dei fattori aggiuntivi che influenzano la prognosi del soggetto iperteso:
Presenza dei principali fattori di rischio non modificabili:
Sesso maschile > 55 anni o femminile > 65 anni di età
Diabete melli
Familiarità per malattie cardiovascolari
Presenza dei principali fattori di rischio modificabili:
Fumo di sigaretta
Sedentarietà
obesità
ipercolesterolemia
alcol (in quantità elevata)
dieta non equilibrata
Presenza di danni d’organo:
aumento della massa cardiaca
malattie renali
placche aterosclerotiche alle principali arterie
quando un soggetto, oltre ad essere iperteso, è anche portatore di uno o più dei fattori di rischio sopra elencati, il rischio di incorrere in una malattia invalidante aumenta:
Stratificazione del rischio con associazione tra ipertensione arteriosa ed altri fattori di rischio
Altri fattori di rischio
Ipertensione lieve
Ipertensione moderata
Ipertensione grave
senza altri fattori di rischio
1-2 fattori di rischio
3 o più fattori di rischio
malattie associate
I soggetti rientranti in queste categorie dovranno quindi mostrare ancora più attenzione al controllo dei valori pressori.
Prevenzione:
CONTROLLO DELL'IPERTENSIONE
E’ utile un controllo periodico della pressione arteriosa?
L’ipertensione arteriosa è uno dei principali e più insidiosi fattori che contribuiscono allo sviluppo delle malattie cardiovascolari, che sono la prima causa di morte ed invalidità nei paesi industrializzati.
In Italia 10 milioni di persone sono ipertesi (circa il 20 % degli adulti e il 35 % degli anziani), poco più della metà sa di esserlo e di questi solo la metà assume una terapia; pertanto meno di un terzo degli italiani affetti da ipertensione arteriosa ha dei valori di pressione soddisfacenti.Questi dati indicano chiaramente come un periodico controllo della pressione arteriosa sia quanto mai consigliabile, anche per soggetti giovani e sani; questo anche alla luce dei sempre minori effetti collaterali e sempre maggiore efficacia della terapia antipertensiva eventualmente instaurabile.
Classifica dei valori pressori, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS)
Pressione arteriosa
(mm di mercurio-mmHg)
Sistolica
(massima)
Diastolica (minima)
ottimale
< 120
< 80
normale
< 130
< 85
borderline (valori limite) *
140-149
90-94
Ipertensione di grado lieve
140-159
90-99
Ipertensione di grado moderato
160-179
100-109
Ipertensione di grado grave
> 180
> 110
* nelle persone anziane una pressione arteriosa fino a 140/90 mmHg è ritenuta ancora soddisfacente
Ci sono poi dei fattori aggiuntivi che influenzano la prognosi del soggetto iperteso:
Presenza dei principali fattori di rischio non modificabili:
Sesso maschile > 55 anni o femminile > 65 anni di età
Diabete melli
Familiarità per malattie cardiovascolari
Presenza dei principali fattori di rischio modificabili:
Fumo di sigaretta
Sedentarietà
obesità
ipercolesterolemia
alcol (in quantità elevata)
dieta non equilibrata
Presenza di danni d’organo:
aumento della massa cardiaca
malattie renali
placche aterosclerotiche alle principali arterie
quando un soggetto, oltre ad essere iperteso, è anche portatore di uno o più dei fattori di rischio sopra elencati, il rischio di incorrere in una malattia invalidante aumenta:
Stratificazione del rischio con associazione tra ipertensione arteriosa ed altri fattori di rischio
Altri fattori di rischio
Ipertensione lieve
Ipertensione moderata
Ipertensione grave
senza altri fattori di rischio
1-2 fattori di rischio
3 o più fattori di rischio
malattie associate
I soggetti rientranti in queste categorie dovranno quindi mostrare ancora più attenzione al controllo dei valori pressori.
mal di testa:utile mangiare cioccolata
ALIMENTAZIONE
21/9/2009
Cioccolato contro l'emicrania
L'effetto antinfiammatorio del cacao per combattere l'emicrania
Se e quando si riesce a coniugare piacere di gola con i vantaggi per la salute è di sicuro un buon modo per stare bene.
Uno studio condotto dai ricercatori della Missouri State University (Usa) suggerisce che il cacao può reprimere le risposte infiammatorie nel cervello collegate al mal di testa.
Compiuta su modelli animali, la ricerca ha voluto appurare l'effetto antinfiammatorio del cacao. I topi utilizzati per il test sono stati suddivisi in due gruppi. A un primo gruppo è stata fatta seguire una dieta di controllo "normale" e a un secondo gruppo una dieta isocalorica arricchita con l'1% o il 10% di cacao, per due settimane consecutive.
Dopo 14 giorni di questa dieta, ai topi è stata iniettata una soluzione a base di capsaicina per provocare una risposta infiammatoria acuta e, in un altro caso, una iniezione a base di CFA, un adiuvante che produce una risposta infiammatoria cronica.
Dai risultati ottenuti in base alle reazioni si è scoperto che i topi del gruppo di controllo, cioè quelli alimentati con una dieta "normale" hanno mostrato i più alti livelli d'infiammazione, rilevati a seguito di un alta presenza di proteine infiammatorie MAP-chinasi (MAPK). Mentre il gruppo alimentato con anche i supplementi di cacao ha mostrato un'azione repressiva nei confronti di queste proteine infiammatorie. In più, sono stati trovati alti livelli di proteine antinfiammatorie MAP-chinasi fosfatasi (MPK) e molecole IL-10, che invece non c'erano nei topi del gruppo di controllo.
«Le diete arricchite con cacao sono in grado di reprimere l'espressione stimolata delle proteine associate alla promozione e il sostentamento delle [...] risposte di tipo infiammatorio» hanno commentato i ricercatori. I quali poi concludono facendo notare come «è importante sottolineare che i nostri dati forniscono anche la prova che il cacao contiene composti biologicamente attivi che potrebbero essere utili nel trattamento delle malattie del medio trigemino della testa e del viso».
Source: International Headache Society's 14th International Headache Congress - PO347 PO347 – "Repression of acute and chronic inflammatory changes in trigeminal ganglion neurons and glia in response to cocoa enriched diets".
(lm&sdp)
21/9/2009
Cioccolato contro l'emicrania
L'effetto antinfiammatorio del cacao per combattere l'emicrania
Se e quando si riesce a coniugare piacere di gola con i vantaggi per la salute è di sicuro un buon modo per stare bene.
Uno studio condotto dai ricercatori della Missouri State University (Usa) suggerisce che il cacao può reprimere le risposte infiammatorie nel cervello collegate al mal di testa.
Compiuta su modelli animali, la ricerca ha voluto appurare l'effetto antinfiammatorio del cacao. I topi utilizzati per il test sono stati suddivisi in due gruppi. A un primo gruppo è stata fatta seguire una dieta di controllo "normale" e a un secondo gruppo una dieta isocalorica arricchita con l'1% o il 10% di cacao, per due settimane consecutive.
Dopo 14 giorni di questa dieta, ai topi è stata iniettata una soluzione a base di capsaicina per provocare una risposta infiammatoria acuta e, in un altro caso, una iniezione a base di CFA, un adiuvante che produce una risposta infiammatoria cronica.
Dai risultati ottenuti in base alle reazioni si è scoperto che i topi del gruppo di controllo, cioè quelli alimentati con una dieta "normale" hanno mostrato i più alti livelli d'infiammazione, rilevati a seguito di un alta presenza di proteine infiammatorie MAP-chinasi (MAPK). Mentre il gruppo alimentato con anche i supplementi di cacao ha mostrato un'azione repressiva nei confronti di queste proteine infiammatorie. In più, sono stati trovati alti livelli di proteine antinfiammatorie MAP-chinasi fosfatasi (MPK) e molecole IL-10, che invece non c'erano nei topi del gruppo di controllo.
«Le diete arricchite con cacao sono in grado di reprimere l'espressione stimolata delle proteine associate alla promozione e il sostentamento delle [...] risposte di tipo infiammatorio» hanno commentato i ricercatori. I quali poi concludono facendo notare come «è importante sottolineare che i nostri dati forniscono anche la prova che il cacao contiene composti biologicamente attivi che potrebbero essere utili nel trattamento delle malattie del medio trigemino della testa e del viso».
Source: International Headache Society's 14th International Headache Congress - PO347 PO347 – "Repression of acute and chronic inflammatory changes in trigeminal ganglion neurons and glia in response to cocoa enriched diets".
(lm&sdp)
aloe e the verde a colazione per partire alla grande
Ecco la prima colazione ideale. Per stare bene ed essere sazi
Basta un po' di succo, un frullato e un tè per fare un'adeguata colazione
Non c'è bisogno di abbuffarsi o mangiare chissà che per fare una colazione abbondante e nutriente. Lasciamo quindi da parte uova, bacon, toast, cappuccino e brioche… per lasciare spazio a tè, frullato di latte e frutta e succo di Aloe.
Secondo un recente studio, infatti, per ottenere tutta l'energia necessaria per iniziare bene la giornata non c'è bisogno di mangiare cose particolari.
I ricercatori del Dipartimento di Endocrinologia presso l'Ospedale Universitario Popolare di Pechino sostengono che far colazione con gli alimenti da loro suggeriti fornisce i nutrienti adeguati e il fabbisogno nutritivo e l'idratazione necessarie.
Il dr. Gu Linong, direttore dell'ospedale e membro del Comitato di Nutrizione Herbalife ha dichiarato che «questa combinazione ha un fondamento scientifico, anche se va contro l'idea tradizionale di una sana colazione» e ricorda che i componenti essenziali di una sana colazione sono carboidrati, grassi, proteine, vitamine e minerali, acqua e fibre. E questi tre cibi forniscono tutto ciò di cui si ha bisogno.
In particolare, sottolinea Linong, un bicchiere di questi tre alimenti fornisce sufficienti livelli nutrizionali ed energia abbinati a un basso contenuto calorico, grassi e colesterolo.
Il frullato (o milkshake) composto da latte (o latte di soia) e frutta secca fornisce le proteine, il succo di Aloe disintossica e fornisce minerali e altre sostanze utili, la tazza di tè verde (o nero) stimola il metabolismo e fornisce preziosi antiossidanti.
Un nutrizionista che ha provato per più di due mesi a fare colazione in questo modo, conferma che dopo non si ha fame e che ci si sente bene. In questo modo si può, tra gli altri, agire efficacemente sul controllo del peso in caso di dieta, in quanto non sentire fame dopo poco, o più tempo, evita di mangiare fuori pasto. Aggiungendo i benefici dell'Aloe nel depurare e del tè come stimolante questa – conclude – può essere davvero la colazione ideale.
(lm&sdp)
Source: Chinaview.cn
Basta un po' di succo, un frullato e un tè per fare un'adeguata colazione
Non c'è bisogno di abbuffarsi o mangiare chissà che per fare una colazione abbondante e nutriente. Lasciamo quindi da parte uova, bacon, toast, cappuccino e brioche… per lasciare spazio a tè, frullato di latte e frutta e succo di Aloe.
Secondo un recente studio, infatti, per ottenere tutta l'energia necessaria per iniziare bene la giornata non c'è bisogno di mangiare cose particolari.
I ricercatori del Dipartimento di Endocrinologia presso l'Ospedale Universitario Popolare di Pechino sostengono che far colazione con gli alimenti da loro suggeriti fornisce i nutrienti adeguati e il fabbisogno nutritivo e l'idratazione necessarie.
Il dr. Gu Linong, direttore dell'ospedale e membro del Comitato di Nutrizione Herbalife ha dichiarato che «questa combinazione ha un fondamento scientifico, anche se va contro l'idea tradizionale di una sana colazione» e ricorda che i componenti essenziali di una sana colazione sono carboidrati, grassi, proteine, vitamine e minerali, acqua e fibre. E questi tre cibi forniscono tutto ciò di cui si ha bisogno.
In particolare, sottolinea Linong, un bicchiere di questi tre alimenti fornisce sufficienti livelli nutrizionali ed energia abbinati a un basso contenuto calorico, grassi e colesterolo.
Il frullato (o milkshake) composto da latte (o latte di soia) e frutta secca fornisce le proteine, il succo di Aloe disintossica e fornisce minerali e altre sostanze utili, la tazza di tè verde (o nero) stimola il metabolismo e fornisce preziosi antiossidanti.
Un nutrizionista che ha provato per più di due mesi a fare colazione in questo modo, conferma che dopo non si ha fame e che ci si sente bene. In questo modo si può, tra gli altri, agire efficacemente sul controllo del peso in caso di dieta, in quanto non sentire fame dopo poco, o più tempo, evita di mangiare fuori pasto. Aggiungendo i benefici dell'Aloe nel depurare e del tè come stimolante questa – conclude – può essere davvero la colazione ideale.
(lm&sdp)
Source: Chinaview.cn
alimentazione:forno a microonde,consigli sul suo uso corretto per evitare batteri nocivi
La cucina al microonde può esporre ai batteri nocivi
Più rischi di intossicazioni alimentari da un uso scorretto
Il microonde fa bene, il microonde fa male… Su questo non tutti sono d'accordo e gli studi, a volte, si contraddicono l'un l'altro.
Quello su cui sono tutti d'accordo però è che quando hai fretta di scaldare qualcosa il forno a microonde è provvidenziale.
Ma, a remare contro, adesso si aggiunge anche il fatto che un uso scorretto potrebbe causare malattie di origine alimentare. Lo sostengono gli scienziati americani della Colorado State University.
La dr.ssa Patricia Kendall, che ha coordinato lo studio, riferisce che cuocere per esempio un hot dog (wurstel) per soli 75 secondi ad alta potenza con il microonde mette al riparo da una possibile intossicazione alimentare che, invece, potrebbe verificarsi facendolo riscaldare per meno tempo e a temperatura inadeguata.
Secondo i ricercatori, infatti, la cottura troppo veloce non riesce a scaldare uniformemente l'alimento, lasciando dei punti caldi e freddi che possono permettere agli agenti patogeni di sopravvivere.
Nello studio i ricercatori hanno condotto una serie di test per valutare l'impatto sul cibo delle microonde in combinazione a diverse potenze e tempo di esposizione. In particolare si è voluto accertare il potere di inattivazione del batterio Listeria monocytogenes inoculato nei wurstel conservati.
Dai risultati è emerso che la massima riduaizone della contaminazione si è avuta con un riscaldamento dei wurstel alla massima potenza (700-1.000 watt) per almeno 75 secondi.
Aspettare poi alcuni secondi prima di estrarre il piatto una volta spento il forno e lasciare che il calore si distribuisca ancora più uniformemente, è un buon modo per aumentare le possibilità di distruggere i batteri patogeni.
La possibilità di non incorrere a una intossicazione alimentare, fa notare Kendall, dipende tuttavia anche da come è stato confezionato l'alimento, dalla conservazione e altri fattori ambientali. In questo caso potrebbero anche non essere sufficienti i 60-75 secondi del test, ma potrebbe essere necessario allungare di un po' la cottura.
Sarebbe necessario che nelle istruzioni dei forni siano riportare tabelle con i tempi e la potenza dedicata a ogni tipo di alimento per assicurarsi che sia riscaldato nel modo migliore e per scongiurare possibili intossicazioni, suggeriscono i ricercatori. Allo stesso modo bisogna considerare che il tempo di esposizione alle microonde può variare in base alla quantità di cibo che viene messa a riscaldare.
(lm&sdp)
Source: lo studio è stato pubblicato sul "Journal of Food Science".
Più rischi di intossicazioni alimentari da un uso scorretto
Il microonde fa bene, il microonde fa male… Su questo non tutti sono d'accordo e gli studi, a volte, si contraddicono l'un l'altro.
Quello su cui sono tutti d'accordo però è che quando hai fretta di scaldare qualcosa il forno a microonde è provvidenziale.
Ma, a remare contro, adesso si aggiunge anche il fatto che un uso scorretto potrebbe causare malattie di origine alimentare. Lo sostengono gli scienziati americani della Colorado State University.
La dr.ssa Patricia Kendall, che ha coordinato lo studio, riferisce che cuocere per esempio un hot dog (wurstel) per soli 75 secondi ad alta potenza con il microonde mette al riparo da una possibile intossicazione alimentare che, invece, potrebbe verificarsi facendolo riscaldare per meno tempo e a temperatura inadeguata.
Secondo i ricercatori, infatti, la cottura troppo veloce non riesce a scaldare uniformemente l'alimento, lasciando dei punti caldi e freddi che possono permettere agli agenti patogeni di sopravvivere.
Nello studio i ricercatori hanno condotto una serie di test per valutare l'impatto sul cibo delle microonde in combinazione a diverse potenze e tempo di esposizione. In particolare si è voluto accertare il potere di inattivazione del batterio Listeria monocytogenes inoculato nei wurstel conservati.
Dai risultati è emerso che la massima riduaizone della contaminazione si è avuta con un riscaldamento dei wurstel alla massima potenza (700-1.000 watt) per almeno 75 secondi.
Aspettare poi alcuni secondi prima di estrarre il piatto una volta spento il forno e lasciare che il calore si distribuisca ancora più uniformemente, è un buon modo per aumentare le possibilità di distruggere i batteri patogeni.
La possibilità di non incorrere a una intossicazione alimentare, fa notare Kendall, dipende tuttavia anche da come è stato confezionato l'alimento, dalla conservazione e altri fattori ambientali. In questo caso potrebbero anche non essere sufficienti i 60-75 secondi del test, ma potrebbe essere necessario allungare di un po' la cottura.
Sarebbe necessario che nelle istruzioni dei forni siano riportare tabelle con i tempi e la potenza dedicata a ogni tipo di alimento per assicurarsi che sia riscaldato nel modo migliore e per scongiurare possibili intossicazioni, suggeriscono i ricercatori. Allo stesso modo bisogna considerare che il tempo di esposizione alle microonde può variare in base alla quantità di cibo che viene messa a riscaldare.
(lm&sdp)
Source: lo studio è stato pubblicato sul "Journal of Food Science".
lunedì 28 settembre 2009
autunno ,se andate per funghi ecco quelli che ci curano
Arriva l'autunno
Curarsi con i funghi medicinali
È il momento di andar per boschi a cercare i preziosi frutti della terra che tanto fanno bene alla nostra salute. Ecco proprietà e usi dei funghi medicinali. Sanihelp.it - Utilizzati da millenni nella medicina cinese sotto forma di sciroppi, tè o tisane o semplicemente tritati e aggiunti ai cibi a scopo terapeutico, i funghi hanno visto recentemente riconosciute le loro proprietà benefiche anche da studi scientifici che, mediante l’isolamento delle principali molecole bioattive che vi sono contenute e attraverso esperimenti in vivo e in vitro, hanno confermato gli effetti positivi sul nostro organismo.
I funghi infatti vantano non solo un eccezionale profilo nutritivo, ma anche svariate proprietà salutistiche: rinforzano il sistema immunitario, regolano la glicemia e il colesterolo, inibiscono lo sviluppo dei tumori e curano diversi disturbi cardiocircolatori e neurologici. L’ambito principale di applicazione della micoterapia è dunque quello della medicina preventiva: stare bene, e meglio, grazie ai funghi.
I principali funghi medicinali, quelli di cui si hanno maggiori prove di successo terapeutico, sono circa una ventina, e le loro applicazioni sono numerose. Ecco qualche esempio.
• Allergia: Agaricus bisporus, Flammulina velutipes, Ganoderma lucidum, Grifola frondosa, Hericium erinaceus.
• Infiammazione: Ganoderma lucidum, Hericium erinaceus, Lentinus edodes, Pleurotus ostreatus.
• Intossicazione: Agaricus bisporus, Coprinus comatus, Lentinus edodes, Polyporus umbellatus.
• Stimolo delle prestazioni atletiche: Cordyceps sinensis, Ganoderma lucidum, Hericium erinaceus, Tremella fuciformis.
• Stanchezza e depressione: Cordyceps sinensis, Coriolus versicolor, Ganoderma lucidum.
Quello che noi conosciamo comefungo in realtà è solo un parte del fungo, quella che si vede in superficie. Il fungo è composto da più parti (micelio, spore, ecc.), ognuna delle quali può essere impiegata in terapia. Ma, secondo le ultime evidenze scientifiche, è usando il fungo intero che si sfruttano al massimo tutte le molteplici proprietà terapeutiche di questi frutti della terra.
Ma come ci si cura con i funghi? Individuando lo specifico rischio di malattia del singolo individuo (che può essere legato a fattori ereditari, dietetici o di stile di vita), il medico può consigliare l’introduzione nella dieta di un opportuno fungo che garantisca un effetto tonico generale e di stimolo sul sistema immunitario. Il modo tradizionale e anche il più efficace per un’assunzione di questo tipo è il decotto, che consiste nel bollire la polvere o il fungo intero in acqua per un tempo che va dai 20 ai 120 minuti.
Viceversa, l’uso di grandi quantità di funghi sotto forma di polveri, compresse o estratti è riservata alle patologie conclamate e spesso gravi quali virosi, tumori o malattie metaboliche complesse.
La polvere di fungo intero si prescrive nella maggior parte delle situazioni cliniche croniche e come terapia d’appoggio a patologie organiche degenerative. Essa possiede un’azione immunomodulante e antitumorale.
I preparati a base di fungo intero sono generalmente disponibili in capsule da 500 mg l’una. La posologia standard è di 1-2 capsule tre volte al giorno in base alla risposta e alla tollerabilità della persona, ma la prescrizione dei funghi terapeutici in queste modalità deve essere riservata solo a un operatore sanitario esperto in micoterapia.
I funghi esercitano un’azione detossificante sull’organismo. Non sono infrequenti, pertanto, all’inizio della terapia sintomi ricollegabili proprio a questa azione di depurazione dalle tossine che il fungo opera: eruzioni cutanee, emicranie, cefalee, vertigini o sensazioni di stordimento, diarrea e nausea. Tutte queste situazioni si risolvono nel giro di sette giorni circa, ma potrebbero rendersi necessari degli adattamenti nei dosaggi.
di Roberta Camisasca
Sanihelp
Curarsi con i funghi medicinali
È il momento di andar per boschi a cercare i preziosi frutti della terra che tanto fanno bene alla nostra salute. Ecco proprietà e usi dei funghi medicinali. Sanihelp.it - Utilizzati da millenni nella medicina cinese sotto forma di sciroppi, tè o tisane o semplicemente tritati e aggiunti ai cibi a scopo terapeutico, i funghi hanno visto recentemente riconosciute le loro proprietà benefiche anche da studi scientifici che, mediante l’isolamento delle principali molecole bioattive che vi sono contenute e attraverso esperimenti in vivo e in vitro, hanno confermato gli effetti positivi sul nostro organismo.
I funghi infatti vantano non solo un eccezionale profilo nutritivo, ma anche svariate proprietà salutistiche: rinforzano il sistema immunitario, regolano la glicemia e il colesterolo, inibiscono lo sviluppo dei tumori e curano diversi disturbi cardiocircolatori e neurologici. L’ambito principale di applicazione della micoterapia è dunque quello della medicina preventiva: stare bene, e meglio, grazie ai funghi.
I principali funghi medicinali, quelli di cui si hanno maggiori prove di successo terapeutico, sono circa una ventina, e le loro applicazioni sono numerose. Ecco qualche esempio.
• Allergia: Agaricus bisporus, Flammulina velutipes, Ganoderma lucidum, Grifola frondosa, Hericium erinaceus.
• Infiammazione: Ganoderma lucidum, Hericium erinaceus, Lentinus edodes, Pleurotus ostreatus.
• Intossicazione: Agaricus bisporus, Coprinus comatus, Lentinus edodes, Polyporus umbellatus.
• Stimolo delle prestazioni atletiche: Cordyceps sinensis, Ganoderma lucidum, Hericium erinaceus, Tremella fuciformis.
• Stanchezza e depressione: Cordyceps sinensis, Coriolus versicolor, Ganoderma lucidum.
Quello che noi conosciamo comefungo in realtà è solo un parte del fungo, quella che si vede in superficie. Il fungo è composto da più parti (micelio, spore, ecc.), ognuna delle quali può essere impiegata in terapia. Ma, secondo le ultime evidenze scientifiche, è usando il fungo intero che si sfruttano al massimo tutte le molteplici proprietà terapeutiche di questi frutti della terra.
Ma come ci si cura con i funghi? Individuando lo specifico rischio di malattia del singolo individuo (che può essere legato a fattori ereditari, dietetici o di stile di vita), il medico può consigliare l’introduzione nella dieta di un opportuno fungo che garantisca un effetto tonico generale e di stimolo sul sistema immunitario. Il modo tradizionale e anche il più efficace per un’assunzione di questo tipo è il decotto, che consiste nel bollire la polvere o il fungo intero in acqua per un tempo che va dai 20 ai 120 minuti.
Viceversa, l’uso di grandi quantità di funghi sotto forma di polveri, compresse o estratti è riservata alle patologie conclamate e spesso gravi quali virosi, tumori o malattie metaboliche complesse.
La polvere di fungo intero si prescrive nella maggior parte delle situazioni cliniche croniche e come terapia d’appoggio a patologie organiche degenerative. Essa possiede un’azione immunomodulante e antitumorale.
I preparati a base di fungo intero sono generalmente disponibili in capsule da 500 mg l’una. La posologia standard è di 1-2 capsule tre volte al giorno in base alla risposta e alla tollerabilità della persona, ma la prescrizione dei funghi terapeutici in queste modalità deve essere riservata solo a un operatore sanitario esperto in micoterapia.
I funghi esercitano un’azione detossificante sull’organismo. Non sono infrequenti, pertanto, all’inizio della terapia sintomi ricollegabili proprio a questa azione di depurazione dalle tossine che il fungo opera: eruzioni cutanee, emicranie, cefalee, vertigini o sensazioni di stordimento, diarrea e nausea. Tutte queste situazioni si risolvono nel giro di sette giorni circa, ma potrebbero rendersi necessari degli adattamenti nei dosaggi.
di Roberta Camisasca
Sanihelp
influenza:come difendersi
Le tre A per difendersi dall'influenza
Vademecum anti-influenza
Allerta, attenzione e automedicazione: sono le tre A per affrontare la nuova influenza e non solo, anche l'influenza stagionale e altri malesseri invernali.Sanihelp.it - Confusione, paura, disinformazione e allarmismi circolano tra gli italiani sul nuovo virus A H1N1, sentimenti che, da qui a qualche settimana, potrebbero peggiorare con il sopraggiungere della solita influenza stagionale.
Come se non bastasse, è molto probabile nei prossimi giorni, con l’abbassarsi delle temperature e la ripresa del lavoro, un’ondata di sindromi da raffreddamento tipiche della stagione, le quali non faranno che complicare ulteriormente il quadro.
Come distinguere dunque queste tre situazioni (influenza A, influenza stagionale e sindromi parainfluenzali) e come affrontarle?
«Per non creare falsi allarmismi – spiega Aurelio Sessa, Presidente Regionale per la Lombardia della Società Italiana di Medicina Generale - è bene ricordare che qualsiasi forma infettiva respiratoria che non si presenti con febbre, un sintomo respiratorio e un sintomo sistemico a esordio brusco, potrebbe essere causata dai moltissimi virus o batteri che non sono riconducibili al virus dell’influenza: non è quindi né la Nuova Influenza né quella stagionale (che non arriverà prima di Natale), ma una comune infezione respiratoria».
«Per quanto riguarda invece le due influenze, se al microscopio i virus della Nuova Influenza e della stagionale si differenziano, i dati epidemiologici confermano che l’aggressività e l’intensità dei sintomi sono analoghi – rassicura Fabrizio Pregliasco, Professore di Virologia presso l’Università degli Studi di Milano - e le informazioni attualmente a nostra disposizione non fanno pensare a una probabile mutazione del virus che potrebbe aumentarne l’aggressività.
Pertanto, nei soggetti sani, i concetti chiave per affrontare i sintomi che potrebbero ricondurre alla nuova influenza, ma anche alle altre sindromi stagionali, sono: Allerta (cioè prevenzione del contagio), Attenzione (cioè riposo e temporaneo isolamento) e Automedicazione (cioè cura dei sintomi attraverso i farmaci da banco)».
Vademecum anti-influenza
Allerta, attenzione e automedicazione: sono le tre A per affrontare la nuova influenza e non solo, anche l'influenza stagionale e altri malesseri invernali.Sanihelp.it - Confusione, paura, disinformazione e allarmismi circolano tra gli italiani sul nuovo virus A H1N1, sentimenti che, da qui a qualche settimana, potrebbero peggiorare con il sopraggiungere della solita influenza stagionale.
Come se non bastasse, è molto probabile nei prossimi giorni, con l’abbassarsi delle temperature e la ripresa del lavoro, un’ondata di sindromi da raffreddamento tipiche della stagione, le quali non faranno che complicare ulteriormente il quadro.
Come distinguere dunque queste tre situazioni (influenza A, influenza stagionale e sindromi parainfluenzali) e come affrontarle?
«Per non creare falsi allarmismi – spiega Aurelio Sessa, Presidente Regionale per la Lombardia della Società Italiana di Medicina Generale - è bene ricordare che qualsiasi forma infettiva respiratoria che non si presenti con febbre, un sintomo respiratorio e un sintomo sistemico a esordio brusco, potrebbe essere causata dai moltissimi virus o batteri che non sono riconducibili al virus dell’influenza: non è quindi né la Nuova Influenza né quella stagionale (che non arriverà prima di Natale), ma una comune infezione respiratoria».
«Per quanto riguarda invece le due influenze, se al microscopio i virus della Nuova Influenza e della stagionale si differenziano, i dati epidemiologici confermano che l’aggressività e l’intensità dei sintomi sono analoghi – rassicura Fabrizio Pregliasco, Professore di Virologia presso l’Università degli Studi di Milano - e le informazioni attualmente a nostra disposizione non fanno pensare a una probabile mutazione del virus che potrebbe aumentarne l’aggressività.
Pertanto, nei soggetti sani, i concetti chiave per affrontare i sintomi che potrebbero ricondurre alla nuova influenza, ma anche alle altre sindromi stagionali, sono: Allerta (cioè prevenzione del contagio), Attenzione (cioè riposo e temporaneo isolamento) e Automedicazione (cioè cura dei sintomi attraverso i farmaci da banco)».
dimagrisci con l'aerobica in 4 fasi
In forma
Aerobica: brucia le calorie in quattro fasi
La ginnastica aerobica aiuta a bruciare calorie e quindi a dimagrire. Il lavoro è progressivo e graduale ed è organizzato secondo quattro fasi precise. Scopriamole.Sanihelp.it - Ecco come si caratterizzano le fasi del percorso graduale della ginnastica aerobica.
Riscaldamento: dura circa quindici minuti, in cui l’obiettivo è preparare l’organismo alle fasi di più alta intensità. Il rischio di incorrere in traumi è frequente, pertanto è importante procedere secondo un carico di lavoro progressivo e a velocità moderata.
Occorre prestare attenzione alla colonna vertebrale e agli arti inferiori: i movimenti vanno eseguiti in maniera dolce e precisa, assumendo le corrette posture. In questa fase trova posto anche lo stretching.
Fase cardiovascolare: l’intensità, la durata e la frequenza di questo momento variano a seconda del soggetto. Il lavoro è qui massimo e coinvolge tutte le masse muscolari e le articolazioni. Per avere un potenziamento aerobico si deve lavorare sul 60-85% circa della propria frequenza cardiaca massima, che si ottiene sottraendo la propria età al numero 220. Se per esempio una persona ha 20 anni, la sua frequenza cardiaca massima è 200. Il soggetto dovrà quindi lavorare con pulsazioni tra il 60 e l’85% di 200 (120-170 pulsazioni al minuto). Le pulsazioni vanno prese sull’arteria carotidea circa 10 minuti dopo la fase aerobica. Si rilevano per 15 secondi e poi si moltiplicano per 4. La durata di questa fase varia dai venti ai trenta minuti per i principianti, fino a un massimo di un’ora per i più preparati. Attenzione alla frequenza: l’importante è non esagerare, presi dalla foga di bruciare calorie. Le sedute settimanali possono variare dalle tre alle sei, a seconda della preparazione e della condizione fisica di ciascuno.Condizionamento muscolare: si lavora sulla forza di resistenza di spalle, petto, dorso, addominali e arti. I movimenti si eseguono in maniera lenta e controllata. Si può ricorrere a piccoli sovraccarichi e altri strumenti, come elastici.
Defaticamento: sebbene questa fase finali duri solo dieci minuti è molto importante e non va trascurata. La sua importanza è fondamentale per consentire all’organismo di ristabilire i suoi ritmi. Lo stretching aiuta i muscoli a decontrarsi e a rilasciarsi. Non bisogna sentire dolore nell’allungare ogni distretto muscolare.
Aerobica: brucia le calorie in quattro fasi
La ginnastica aerobica aiuta a bruciare calorie e quindi a dimagrire. Il lavoro è progressivo e graduale ed è organizzato secondo quattro fasi precise. Scopriamole.Sanihelp.it - Ecco come si caratterizzano le fasi del percorso graduale della ginnastica aerobica.
Riscaldamento: dura circa quindici minuti, in cui l’obiettivo è preparare l’organismo alle fasi di più alta intensità. Il rischio di incorrere in traumi è frequente, pertanto è importante procedere secondo un carico di lavoro progressivo e a velocità moderata.
Occorre prestare attenzione alla colonna vertebrale e agli arti inferiori: i movimenti vanno eseguiti in maniera dolce e precisa, assumendo le corrette posture. In questa fase trova posto anche lo stretching.
Fase cardiovascolare: l’intensità, la durata e la frequenza di questo momento variano a seconda del soggetto. Il lavoro è qui massimo e coinvolge tutte le masse muscolari e le articolazioni. Per avere un potenziamento aerobico si deve lavorare sul 60-85% circa della propria frequenza cardiaca massima, che si ottiene sottraendo la propria età al numero 220. Se per esempio una persona ha 20 anni, la sua frequenza cardiaca massima è 200. Il soggetto dovrà quindi lavorare con pulsazioni tra il 60 e l’85% di 200 (120-170 pulsazioni al minuto). Le pulsazioni vanno prese sull’arteria carotidea circa 10 minuti dopo la fase aerobica. Si rilevano per 15 secondi e poi si moltiplicano per 4. La durata di questa fase varia dai venti ai trenta minuti per i principianti, fino a un massimo di un’ora per i più preparati. Attenzione alla frequenza: l’importante è non esagerare, presi dalla foga di bruciare calorie. Le sedute settimanali possono variare dalle tre alle sei, a seconda della preparazione e della condizione fisica di ciascuno.Condizionamento muscolare: si lavora sulla forza di resistenza di spalle, petto, dorso, addominali e arti. I movimenti si eseguono in maniera lenta e controllata. Si può ricorrere a piccoli sovraccarichi e altri strumenti, come elastici.
Defaticamento: sebbene questa fase finali duri solo dieci minuti è molto importante e non va trascurata. La sua importanza è fondamentale per consentire all’organismo di ristabilire i suoi ritmi. Lo stretching aiuta i muscoli a decontrarsi e a rilasciarsi. Non bisogna sentire dolore nell’allungare ogni distretto muscolare.
mal di testa?qui un'archivio di risposte per ogni tuo quesito
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Hai un dubbio o una curiosità sul mal di testa?
In questa sezione del sito troverai un archivio di risposte sul mal di testa, frutto della collaborazione pluriennale con un medico specialista (neurologo).
Nel ricordati che un servizio di consulenza on-line non può in alcun modo sostituire una visita medica, non è infatti né possibile, né corretto fornire una diagnosi e quindi la successiva terapia non avendo tutti gli elementi necessari (anamnesi completa, visita, eccetera), ti invitiamo a leggere le risposte dell’archivio per trovare indicazioni di carattere generale sul mal di testa.
Di seguito sono raccolte le risposte più interessanti e quelle che, per gli argomenti trattati, possono interessare tutte le persone che soffrono di mal di testa.
clicca qui:http://www.chemalditesta.it/domande/domande.asp
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GASTROENTERITE,cause,sintomi,cure,prevenzione
fonte: benessere.com (home)
prova anche la tisana dei monaci buddisti,depura,disintossica e riduce i grassi
GASTROENTERITE VIRALE
GASTROENTERITE
Gastroenterite significa infiammazione dello stomaco e dell'intestino tenue e crasso. La gastroenterite virale è un infezione causata da diversi virus che si manifesta con vomito e diarrea. Le gastroenteriti virali possono rivelarsi gravi per persone che non riescono a bere abbastanza liquidi da rimpiazzare quelli persi, oppure per i neonati, i bambini, gli anziani e persone con un sistema immunitario debole. Talvolta si possono verificare complicazioni dovute al vomito anche in persone sane.
I sintomi
I sintomi principali della gastroenterite sono la diarrea e il vomito. Altri sintomi includono mal di testa, febbre, brividi e dolori addominali. I sintomi possono apparire tra poche ore fino a pochi giorni dall'infezione. Solitamente durano per 1 o 2 giorni, ma possono durare anche 10 giorni.
Le cause
I virus che causano le gastroenteriti virali danneggiano le cellule sulle pareti dell'intestino tenue. Il risultato è la perdita di fluidi dalle cellule nell'intestino che produce la diarrea liquida.
Ci sono quattro tipo di virus che causano la maggior parte delle gastroenteriti:
Rotavirus
E' la causa principale delle gastroenteriti nei bambini dai 3 ai 15 mesi di età. La maggior parte dei bambini viene esposta al virus entro i due anni. I bambini con il rotavirus hanno vomito e diarrea liquida per un periodo che va dai 3 agli 8 giorni, insieme a febbre e dolori addominali. Il rotavirus può anche infettare adulti in stretto contatto con bambini infetti, anche se i sintomi negli adulti sono più lievi. I sintomi dell'infezione da rotavirus appaiono tra 1 e 2 giorni dall'esposizione. Le infezioni da rotavirus sono più comuni tra Novembre ed Aprile.
Adenovirus
Causa gastroenteriti principalmente in bambini con meno di due anni di età. Le infezioni possono verificarsi in qualsiasi periodo dell'anno; vomito e diarrea appaiono circa 1 settimana dopo l'esposizione.
Calicivirus
Può causare infezioni in persone di qualunque età. I calicivirus sono trasmessi da una persona all'altra e anche attraverso acqua o cibo contaminati - specialmente ostriche cresciute in acque contaminate. Oltre al vomito e alla diarrea, le persone affette dai calicivirus possono avere anche dolori muscolari. I sintomi appaiono tra 1 e 3 giorni dall'esposizione.
Astrovirus Colpisce principalmente neonati, bambini e anziani. Il virus è attivo principalmente duranti i mesi invernali. Vomito e diarrea appaiono tra 1 e 3 giorni all'esposizione.
Pubblicità
La gastroenterite virale è spesso chiamata in modo inappropriato "influenza dello stomaco", ma non è causato dal virus dell'influenza e non colpisce lo stomaco. Inoltre la gastroenterite virale non è causata da batteri o parassiti.
Trasmissione
La gastroenterite virale è altamente contagiosa. I virus sono spesso trasmessi sulle mani non lavate. Le persone possono prendere il virus attraverso un contatto stretto con persone infette, dividendo il cibo, una bevanda o utensili da cucina, oppure ancora mangiando cibi o bevendo bevande contaminate con il virus. Le persone che non presentano più i sintomi, possono essere comunque contagiose , visto che il virus può essere trovato nelle loro feci fino a due settimane dopo la loro completa guarigione. Inoltre, alcune persone possono infettarsi senza sviluppare sintomi, aumentando così il pericolo di contagio.
Diagnosi
Se si ha il dubbio di aver preso una gastroenterite, sarebbe consigliabile farsi visitare dal proprio medico curante, anche se molte persone non lo fanno. I medici solitamente diagnosticano una gastroenterite virale basandosi sui sintomi e su un esame fisico. Il medico potrebbe anche chiedere un campione di feci per esaminarlo in cerca del rotavirus o per verificare che la causa dei sintomi siano, al contrario, batteri o parassiti. Non esistono al momento test di routine per gli altri tipi di virus.
Trattamento
La maggior parte dei casi di gastroenterite virale si risolve nel tempo senza bisogno di alcuno specifico trattamento. Gli antibiotici non hanno alcuna efficacia contro le infezioni virali. Lo scopo principale dei trattamenti è di ridurre i sintomi e possono diventare necessari per prevenire la disidratrazione.
Il corpo umano ha bisogno di fluidi per funzionare. La disidratrazione è la perdita di liquidi dal corpo. Importanti sali e minerali, noti come elettroliti, possono essere persi con i fluidi. La disidratazione può essere causata dalla diarrea, dal vomito, da una eccessiva urinazione o da un eccessiva sudarazione oppure dal non bere abbastanza a causa della nausea, dalla difficoltà di deglutire o dalla perdita di appetito.
Nelle gastroenteriti virali, la combinazione di diarrea e del vomito può causare la disidratazione. I sintomi della disidratazione sono:
sete eccessiva
secchezza delle fauci
poca urina o urina di color giallo scuro
grave debolezza o letargia
giramenti di testa
Se notate alcuno di questi sintomi, dovreste parlarne al medico. Una disidratazione leggera può essere trattata bevendo liquidi. Una disidratazione grave può richiedere l'uso di flebo e il ricovero in ospedale. Non curare una disidratazione grave può mettere in pericolo la vita stessa del paziente.
I bambini richiedono attenzioni particolari. A causa della dimensione limitata del loro corpo, i neonati e i bambini piccoli sono a rischio maggiore di disidratazione. Esistono soluzioni orali che possono rimpiazzare i liquidi, minerali e sali persi.
Ecco alcuni consigli per alleviare i sintomi della gastroenterite virale.
permettete al tratto gastrointestinale di sistemarsi non mangiando per qualche ora
bere piccole quantità di liquidi chiari o succhiare pezzi di ghiaccio se il vomito permane un problema
dare ai neonati e ai bambini la soluzione orale per rimpiazzare i fluidi e gli elettroliti persi
reintrodurre gradualmente i cibi, partendo da quelli più blandi e facili da digerire come pane tostato, brodo, mele e riso
evitare prodotti caseari, caffeina ed alcool fin o quando il recupero non sia completo
riposare il più possibile
Prevenzione
Prevenire è l'unica maniera per evitare la gastroenterite virale. Non esiste un vaccino. Si può evitare:
lavandosi le mani completamente dopo aver usato il bagno o dopo aver cambiato i pannolini
lavandosi le mani completamente prima di mangiare
disinfettando le superfici contaminate
non mangiando cibi o bevendo bevande che possono essere stati contaminatiprova anche la tisana dei monaci buddisti,depura,disintossica e riduce i grassi
prova anche la tisana dei monaci buddisti,depura,disintossica e riduce i grassi
GASTROENTERITE VIRALE
GASTROENTERITE
Gastroenterite significa infiammazione dello stomaco e dell'intestino tenue e crasso. La gastroenterite virale è un infezione causata da diversi virus che si manifesta con vomito e diarrea. Le gastroenteriti virali possono rivelarsi gravi per persone che non riescono a bere abbastanza liquidi da rimpiazzare quelli persi, oppure per i neonati, i bambini, gli anziani e persone con un sistema immunitario debole. Talvolta si possono verificare complicazioni dovute al vomito anche in persone sane.
I sintomi
I sintomi principali della gastroenterite sono la diarrea e il vomito. Altri sintomi includono mal di testa, febbre, brividi e dolori addominali. I sintomi possono apparire tra poche ore fino a pochi giorni dall'infezione. Solitamente durano per 1 o 2 giorni, ma possono durare anche 10 giorni.
Le cause
I virus che causano le gastroenteriti virali danneggiano le cellule sulle pareti dell'intestino tenue. Il risultato è la perdita di fluidi dalle cellule nell'intestino che produce la diarrea liquida.
Ci sono quattro tipo di virus che causano la maggior parte delle gastroenteriti:
Rotavirus
E' la causa principale delle gastroenteriti nei bambini dai 3 ai 15 mesi di età. La maggior parte dei bambini viene esposta al virus entro i due anni. I bambini con il rotavirus hanno vomito e diarrea liquida per un periodo che va dai 3 agli 8 giorni, insieme a febbre e dolori addominali. Il rotavirus può anche infettare adulti in stretto contatto con bambini infetti, anche se i sintomi negli adulti sono più lievi. I sintomi dell'infezione da rotavirus appaiono tra 1 e 2 giorni dall'esposizione. Le infezioni da rotavirus sono più comuni tra Novembre ed Aprile.
Adenovirus
Causa gastroenteriti principalmente in bambini con meno di due anni di età. Le infezioni possono verificarsi in qualsiasi periodo dell'anno; vomito e diarrea appaiono circa 1 settimana dopo l'esposizione.
Calicivirus
Può causare infezioni in persone di qualunque età. I calicivirus sono trasmessi da una persona all'altra e anche attraverso acqua o cibo contaminati - specialmente ostriche cresciute in acque contaminate. Oltre al vomito e alla diarrea, le persone affette dai calicivirus possono avere anche dolori muscolari. I sintomi appaiono tra 1 e 3 giorni dall'esposizione.
Astrovirus Colpisce principalmente neonati, bambini e anziani. Il virus è attivo principalmente duranti i mesi invernali. Vomito e diarrea appaiono tra 1 e 3 giorni all'esposizione.
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La gastroenterite virale è spesso chiamata in modo inappropriato "influenza dello stomaco", ma non è causato dal virus dell'influenza e non colpisce lo stomaco. Inoltre la gastroenterite virale non è causata da batteri o parassiti.
Trasmissione
La gastroenterite virale è altamente contagiosa. I virus sono spesso trasmessi sulle mani non lavate. Le persone possono prendere il virus attraverso un contatto stretto con persone infette, dividendo il cibo, una bevanda o utensili da cucina, oppure ancora mangiando cibi o bevendo bevande contaminate con il virus. Le persone che non presentano più i sintomi, possono essere comunque contagiose , visto che il virus può essere trovato nelle loro feci fino a due settimane dopo la loro completa guarigione. Inoltre, alcune persone possono infettarsi senza sviluppare sintomi, aumentando così il pericolo di contagio.
Diagnosi
Se si ha il dubbio di aver preso una gastroenterite, sarebbe consigliabile farsi visitare dal proprio medico curante, anche se molte persone non lo fanno. I medici solitamente diagnosticano una gastroenterite virale basandosi sui sintomi e su un esame fisico. Il medico potrebbe anche chiedere un campione di feci per esaminarlo in cerca del rotavirus o per verificare che la causa dei sintomi siano, al contrario, batteri o parassiti. Non esistono al momento test di routine per gli altri tipi di virus.
Trattamento
La maggior parte dei casi di gastroenterite virale si risolve nel tempo senza bisogno di alcuno specifico trattamento. Gli antibiotici non hanno alcuna efficacia contro le infezioni virali. Lo scopo principale dei trattamenti è di ridurre i sintomi e possono diventare necessari per prevenire la disidratrazione.
Il corpo umano ha bisogno di fluidi per funzionare. La disidratrazione è la perdita di liquidi dal corpo. Importanti sali e minerali, noti come elettroliti, possono essere persi con i fluidi. La disidratazione può essere causata dalla diarrea, dal vomito, da una eccessiva urinazione o da un eccessiva sudarazione oppure dal non bere abbastanza a causa della nausea, dalla difficoltà di deglutire o dalla perdita di appetito.
Nelle gastroenteriti virali, la combinazione di diarrea e del vomito può causare la disidratazione. I sintomi della disidratazione sono:
sete eccessiva
secchezza delle fauci
poca urina o urina di color giallo scuro
grave debolezza o letargia
giramenti di testa
Se notate alcuno di questi sintomi, dovreste parlarne al medico. Una disidratazione leggera può essere trattata bevendo liquidi. Una disidratazione grave può richiedere l'uso di flebo e il ricovero in ospedale. Non curare una disidratazione grave può mettere in pericolo la vita stessa del paziente.
I bambini richiedono attenzioni particolari. A causa della dimensione limitata del loro corpo, i neonati e i bambini piccoli sono a rischio maggiore di disidratazione. Esistono soluzioni orali che possono rimpiazzare i liquidi, minerali e sali persi.
Ecco alcuni consigli per alleviare i sintomi della gastroenterite virale.
permettete al tratto gastrointestinale di sistemarsi non mangiando per qualche ora
bere piccole quantità di liquidi chiari o succhiare pezzi di ghiaccio se il vomito permane un problema
dare ai neonati e ai bambini la soluzione orale per rimpiazzare i fluidi e gli elettroliti persi
reintrodurre gradualmente i cibi, partendo da quelli più blandi e facili da digerire come pane tostato, brodo, mele e riso
evitare prodotti caseari, caffeina ed alcool fin o quando il recupero non sia completo
riposare il più possibile
Prevenzione
Prevenire è l'unica maniera per evitare la gastroenterite virale. Non esiste un vaccino. Si può evitare:
lavandosi le mani completamente dopo aver usato il bagno o dopo aver cambiato i pannolini
lavandosi le mani completamente prima di mangiare
disinfettando le superfici contaminate
non mangiando cibi o bevendo bevande che possono essere stati contaminatiprova anche la tisana dei monaci buddisti,depura,disintossica e riduce i grassi
sabato 19 settembre 2009
I pidocchi della testa:informazioni e cure
I pidocchi della testa
Kit informativo per i genitori
Contro i pidocchi non serve il martello
Controlla i capelli del tuo bambino ogni settimana
Esegui immediatamente il trattamento
Avvisa la scuola
Presentazione
Cosa succede se il vostro bambino prende i pidocchi.
Niente panico, qualsiasi bambino può avere i pidocchi e il trattamento non è difficile.
Iniziate il trattamento immediatamente e controllate la sua efficacia.
Vostro figlio può riprendere la scuola dopo che avete iniziato un trattamento efficace; infatti la trasmissione agli altri bambini non avviene se il trattamento è incominciato.
Compilate un avviso la scuola (in allegato) e consegnatelo alla scuola di vostro figlio; è probabile che altri nella scuola abbiano i pidocchi. La scuola potrà avvertire tutte le famiglie di controllare attentamente i capelli ogni due giorni (è di fare il trattamento se vengono trovati i pidocchi). Questo diminuirà la possibilità che vostro figlio prenda i pidocchi un’altra volta.
Cosa è necessario sapere sui pidocchi della testa
I pidocchi della testa sono piccoli insetti. I pidocchi non hanno ali e perciò non possono volare: Essi si spostano da un capello all’altro, ma non possono saltare.
I pidocchi della testa possono vivere solo sulla testa delle persone. I pidocchi della testa devono nutrirsi ogni sei ore, altrimenti muoiono per disidratazione.
I pidocchi della testa si diffondono da una persona all’altra mediante contatto diretto testa a testa.
La femmina depone 5-12 uova al giorno (più di 300 nell’arco della vita). Le uova rimangono attaccate tenacemente al capello. Le uova sono chiamate anche lendini.
Le uova hanno bisogno del calore e dell’umidità del cuoio capelluto e perciò sono vitali solo se trovate entro 1,5 cm. dalla radice del capello.
Le uova che si trovano oltre 1,5 cm. dalla radice del capello non sono vitali e non hanno bisogno di trattamento.
Sul cuoio capelluto possono trovare contemporaneamente pidocchi adulti, giovani e uova.
Chiunque può avere i pidocchi, essi non hanno preferenze per colore dei capelli, età o gruppo etnico delle persone; anche il grado di pulizia dei capelli non ha influenza sulla presenza o meno dei pidocchi: la presenza dei pidocchi della testa non è indice di scarsa pulizia delle persone
Solo gli insetti (adulti o giovani) possono muoversi da una testa all’altra. Le uova non si diffondono (anche se possono essere la spia della presenza di insetti).
La forfora può essere scambiata per uova.
I pidocchi della testa sono un fastidio, ma non causano malattie.
Controllare i capelli ogni settimana
Perché cercare i pidocchi
Una persona può avere i pidocchi e non saperlo. I pidocchi si muovono velocemente sul capello asciutto e può essere difficile notarli.
Prurito e trattamento della testa possono essere manifestazioni della presenza dei pidocchi della testa; molti bambini però possono avere i pidocchi senza provare prurito; inoltre vi sono bambini che si grattano frequentemente il capo, senza avere i pidocchi.
Perciò, l’unico modo per accorgersi precocemente della presenza dei pidocchi è il controllo settimanale della testa.
Trovare precocemente i pidocchi rende più facile il trattamento.
Chi bisogna controllare
Tutti i bambini che frequentano collettività (asili nido, scuole materne, scuole elementari). Se si trovano i pidocchi, la ricerca va estesa a tutti i componenti della famiglia.
Quando cercare i pidocchi
Una volta alla settimana. Per non dimenticarsi è bene farlo sempre lo stesso giorno della settimana. Se c’è stato contatto stretto con qualcuno che ha o che ha avuto i pidocchi o se la scuola ha comunicato la presenza di casi di pidocchi, controllare ogni due giorni per 10 giorni consecutivi.
Come cercare i pidocchi.
La presenza dei pidocchi sulla testa spesso passa inosservata; la semplice osservazione dei capelli è di solito insufficiente. I pidocchi vanno cercati con molta attenzione, aiutandosi con l’apposita pettinina. L’uso combinato del balsamo per capelli e della pettinina (descritto nel paragrafo balsamo & pettinina) rappresenta il metodo più efficace per cercare i pidocchi della testa.
Cosa esattamente cercare.
Pidocchi e uova dei pidocchi (lendini).
Informazioni sulle uova…
Le uova dei pidocchi restano attaccate ai capelli. Quelle trovate a meno di un centimetro e mezzo dalla radice del capello sono vive e quindi devono essere trattate. Le uova attaccate al capello oltre 1,5 cm. dalla radice sono morte.
Informazione sulla pettinina per pidocchi…
La pettinina per pidocchi ha denti sottili e fitti; può essere acquistata anche in farmacia.
Balsamo & pettinina
Un metodo efficace per cercare e/o trattare i pidocchi
Usando il balsamo e la pettinina per cercare i pidocchi si ottiene allo stesso tempo la rimozione dei pidocchi.
Il balsamo stordisce i pidocchi per qualche minuto e così è più facile rimuoverli.
Usando il balsamo e la pettinina ogni due giorni tra un trattamento e l’altro si rimuovono i nuovi pidocchi che nascono dalle uova rimaste attaccate.
Che cosa serve
Balsamo per capelli (di colore bianco)
Un pettine normale
Una pettinina per pidocchi
Mollette per capelli
Fazzoletti di carta
Buona luce
Un vecchio spazzolino da denti (oer pulire la pettinina)
Una lente di ingrandimento (facoltativa)
Ricerca dei pidocchi con balsamo e pettinina
Pettinarsi i capelli con un pettine normale, per districarli.
Applicare il balsamo sui capelli asciutti, avendo cura di coprire tutta la capigliatura e i capelli dalla radice alla punta.
Con un pettine normale distribuire il balsamo e dividere i capelli in 4 sezioni usando le mollette.
Porre la pettinina per pidocchi a piatto sul cuoio capelluto e pettinare i capelli dalla radice alla punta. Iniziare questa operazione dalla zona più vicina alla nuca.
Asciugare la pettinina sul fazzoletto di carta dopo ogni passata. Controllare se ci sono pidocchi, in buona condizione di luce, aiutandosi eventualmente con la lente.
pettinare ogni sezione due volte finché si è completata tutta la testa. Se la pettinina si intasa usare lo spazzolino da denti vecchio per rimuovere pidocchi e uova.
Se si sono trovati pidocchi, è necessario fare il trattamento (vedi il paragrafo "Trattamento").
Pulizia del materiale impiegato
Mettere i fazzoletti in un sacchetto di plastica, richiudendolo e gettarlo nella spazzatura.
Lavare i capelli normalmente.
Lavare i pettini in acqua bollente (tolta dal fuoco!) e sapone per 30 secondi per essere sicuri che i pidocchi siano morti. Quando l’acqua si è raffreddata, usare lo spazzolino per rimuovere eventuali detriti dalla pettinina.
Trattamento
Segui tutti i passi previsti nel paragrafo "Balsamo & Pettinina", metodo per la ricerca dei pidocchi.
Se si trovano i pidocchi o uova vitali (entro 1,5 cm dalla radice del capello), continuare a pettinare fino alla rimozione completa dei pidocchi e delle uova visivamente apprezzabile (talvolta la rimozione completa delle uova può essere impossibile in un’unica seduta; la persistenza di qualche uova è tollerabile, purché si continui la loro rimozione nei giorni successivi).
Sciacquare normalmente i capelli ed applicare un preparato specifico contro i pidocchi (vedi riquadro sotto), seguendo attentamente le istruzioni contenute nella confezione. Attenzione: a seconda del prodotto l’applicazione deve essere fatta a capelli bagnati, umidi o asciutti. Se per esempio si usa una crema alla permetrina (secondo molti Autori è il prodotto da preferire contro i pidocchi) dopo aver sciacquato i capelli, asciugarli parzialmente, lasciandoli umidi; applicare uniformemente un sottile strato di crema su tutti i capelli; lasciare agire per 10 minuti.
Lavare normalmente i capelli.
Il bambino può riprendere la frequenza scolastica la mattina successiva al trattamento con un avviso alla scuola che sono stati trovati i pidocchi e che è stato eseguito il trattamento.
Nei giorni successivi controllare i capelli ogni due giorni con il metodo Balsamo & Pettinessa per 10 giorni.
Dopo 10 giorni dal primo trattamento eseguite per sicurezza un secondo trattamento, che serve per eliminare eventuali giovani pidocchi cresciuti da uova passate inosservate.
Il trattamento va eseguito solo se si trovano pidocchi e/o uova vitali; non eseguire trattamenti per prevenire i pidocchi.
Alcuni preparati commerciali antipidocchi
Prima dell’impiego, leggere attentamente le istruzioni e le avvertenze contenute nella confezione: i tempi di applicazione e le modalità di uso sono variabili da prodotto a prodotto.
NIX crema liquida principio attivo: permetrina
MOM shampoo principio attivo: piretrina
MEDIKER shampoo principio attivo: piretrina
AFTIR gel principio attivo: malathion
http://www.istituti.vivoscuola.it/direzione-didattica-trento-2/GENITORI/pidocchi.htm
Kit informativo per i genitori
Contro i pidocchi non serve il martello
Controlla i capelli del tuo bambino ogni settimana
Esegui immediatamente il trattamento
Avvisa la scuola
Presentazione
Cosa succede se il vostro bambino prende i pidocchi.
Niente panico, qualsiasi bambino può avere i pidocchi e il trattamento non è difficile.
Iniziate il trattamento immediatamente e controllate la sua efficacia.
Vostro figlio può riprendere la scuola dopo che avete iniziato un trattamento efficace; infatti la trasmissione agli altri bambini non avviene se il trattamento è incominciato.
Compilate un avviso la scuola (in allegato) e consegnatelo alla scuola di vostro figlio; è probabile che altri nella scuola abbiano i pidocchi. La scuola potrà avvertire tutte le famiglie di controllare attentamente i capelli ogni due giorni (è di fare il trattamento se vengono trovati i pidocchi). Questo diminuirà la possibilità che vostro figlio prenda i pidocchi un’altra volta.
Cosa è necessario sapere sui pidocchi della testa
I pidocchi della testa sono piccoli insetti. I pidocchi non hanno ali e perciò non possono volare: Essi si spostano da un capello all’altro, ma non possono saltare.
I pidocchi della testa possono vivere solo sulla testa delle persone. I pidocchi della testa devono nutrirsi ogni sei ore, altrimenti muoiono per disidratazione.
I pidocchi della testa si diffondono da una persona all’altra mediante contatto diretto testa a testa.
La femmina depone 5-12 uova al giorno (più di 300 nell’arco della vita). Le uova rimangono attaccate tenacemente al capello. Le uova sono chiamate anche lendini.
Le uova hanno bisogno del calore e dell’umidità del cuoio capelluto e perciò sono vitali solo se trovate entro 1,5 cm. dalla radice del capello.
Le uova che si trovano oltre 1,5 cm. dalla radice del capello non sono vitali e non hanno bisogno di trattamento.
Sul cuoio capelluto possono trovare contemporaneamente pidocchi adulti, giovani e uova.
Chiunque può avere i pidocchi, essi non hanno preferenze per colore dei capelli, età o gruppo etnico delle persone; anche il grado di pulizia dei capelli non ha influenza sulla presenza o meno dei pidocchi: la presenza dei pidocchi della testa non è indice di scarsa pulizia delle persone
Solo gli insetti (adulti o giovani) possono muoversi da una testa all’altra. Le uova non si diffondono (anche se possono essere la spia della presenza di insetti).
La forfora può essere scambiata per uova.
I pidocchi della testa sono un fastidio, ma non causano malattie.
Controllare i capelli ogni settimana
Perché cercare i pidocchi
Una persona può avere i pidocchi e non saperlo. I pidocchi si muovono velocemente sul capello asciutto e può essere difficile notarli.
Prurito e trattamento della testa possono essere manifestazioni della presenza dei pidocchi della testa; molti bambini però possono avere i pidocchi senza provare prurito; inoltre vi sono bambini che si grattano frequentemente il capo, senza avere i pidocchi.
Perciò, l’unico modo per accorgersi precocemente della presenza dei pidocchi è il controllo settimanale della testa.
Trovare precocemente i pidocchi rende più facile il trattamento.
Chi bisogna controllare
Tutti i bambini che frequentano collettività (asili nido, scuole materne, scuole elementari). Se si trovano i pidocchi, la ricerca va estesa a tutti i componenti della famiglia.
Quando cercare i pidocchi
Una volta alla settimana. Per non dimenticarsi è bene farlo sempre lo stesso giorno della settimana. Se c’è stato contatto stretto con qualcuno che ha o che ha avuto i pidocchi o se la scuola ha comunicato la presenza di casi di pidocchi, controllare ogni due giorni per 10 giorni consecutivi.
Come cercare i pidocchi.
La presenza dei pidocchi sulla testa spesso passa inosservata; la semplice osservazione dei capelli è di solito insufficiente. I pidocchi vanno cercati con molta attenzione, aiutandosi con l’apposita pettinina. L’uso combinato del balsamo per capelli e della pettinina (descritto nel paragrafo balsamo & pettinina) rappresenta il metodo più efficace per cercare i pidocchi della testa.
Cosa esattamente cercare.
Pidocchi e uova dei pidocchi (lendini).
Informazioni sulle uova…
Le uova dei pidocchi restano attaccate ai capelli. Quelle trovate a meno di un centimetro e mezzo dalla radice del capello sono vive e quindi devono essere trattate. Le uova attaccate al capello oltre 1,5 cm. dalla radice sono morte.
Informazione sulla pettinina per pidocchi…
La pettinina per pidocchi ha denti sottili e fitti; può essere acquistata anche in farmacia.
Balsamo & pettinina
Un metodo efficace per cercare e/o trattare i pidocchi
Usando il balsamo e la pettinina per cercare i pidocchi si ottiene allo stesso tempo la rimozione dei pidocchi.
Il balsamo stordisce i pidocchi per qualche minuto e così è più facile rimuoverli.
Usando il balsamo e la pettinina ogni due giorni tra un trattamento e l’altro si rimuovono i nuovi pidocchi che nascono dalle uova rimaste attaccate.
Che cosa serve
Balsamo per capelli (di colore bianco)
Un pettine normale
Una pettinina per pidocchi
Mollette per capelli
Fazzoletti di carta
Buona luce
Un vecchio spazzolino da denti (oer pulire la pettinina)
Una lente di ingrandimento (facoltativa)
Ricerca dei pidocchi con balsamo e pettinina
Pettinarsi i capelli con un pettine normale, per districarli.
Applicare il balsamo sui capelli asciutti, avendo cura di coprire tutta la capigliatura e i capelli dalla radice alla punta.
Con un pettine normale distribuire il balsamo e dividere i capelli in 4 sezioni usando le mollette.
Porre la pettinina per pidocchi a piatto sul cuoio capelluto e pettinare i capelli dalla radice alla punta. Iniziare questa operazione dalla zona più vicina alla nuca.
Asciugare la pettinina sul fazzoletto di carta dopo ogni passata. Controllare se ci sono pidocchi, in buona condizione di luce, aiutandosi eventualmente con la lente.
pettinare ogni sezione due volte finché si è completata tutta la testa. Se la pettinina si intasa usare lo spazzolino da denti vecchio per rimuovere pidocchi e uova.
Se si sono trovati pidocchi, è necessario fare il trattamento (vedi il paragrafo "Trattamento").
Pulizia del materiale impiegato
Mettere i fazzoletti in un sacchetto di plastica, richiudendolo e gettarlo nella spazzatura.
Lavare i capelli normalmente.
Lavare i pettini in acqua bollente (tolta dal fuoco!) e sapone per 30 secondi per essere sicuri che i pidocchi siano morti. Quando l’acqua si è raffreddata, usare lo spazzolino per rimuovere eventuali detriti dalla pettinina.
Trattamento
Segui tutti i passi previsti nel paragrafo "Balsamo & Pettinina", metodo per la ricerca dei pidocchi.
Se si trovano i pidocchi o uova vitali (entro 1,5 cm dalla radice del capello), continuare a pettinare fino alla rimozione completa dei pidocchi e delle uova visivamente apprezzabile (talvolta la rimozione completa delle uova può essere impossibile in un’unica seduta; la persistenza di qualche uova è tollerabile, purché si continui la loro rimozione nei giorni successivi).
Sciacquare normalmente i capelli ed applicare un preparato specifico contro i pidocchi (vedi riquadro sotto), seguendo attentamente le istruzioni contenute nella confezione. Attenzione: a seconda del prodotto l’applicazione deve essere fatta a capelli bagnati, umidi o asciutti. Se per esempio si usa una crema alla permetrina (secondo molti Autori è il prodotto da preferire contro i pidocchi) dopo aver sciacquato i capelli, asciugarli parzialmente, lasciandoli umidi; applicare uniformemente un sottile strato di crema su tutti i capelli; lasciare agire per 10 minuti.
Lavare normalmente i capelli.
Il bambino può riprendere la frequenza scolastica la mattina successiva al trattamento con un avviso alla scuola che sono stati trovati i pidocchi e che è stato eseguito il trattamento.
Nei giorni successivi controllare i capelli ogni due giorni con il metodo Balsamo & Pettinessa per 10 giorni.
Dopo 10 giorni dal primo trattamento eseguite per sicurezza un secondo trattamento, che serve per eliminare eventuali giovani pidocchi cresciuti da uova passate inosservate.
Il trattamento va eseguito solo se si trovano pidocchi e/o uova vitali; non eseguire trattamenti per prevenire i pidocchi.
Alcuni preparati commerciali antipidocchi
Prima dell’impiego, leggere attentamente le istruzioni e le avvertenze contenute nella confezione: i tempi di applicazione e le modalità di uso sono variabili da prodotto a prodotto.
NIX crema liquida principio attivo: permetrina
MOM shampoo principio attivo: piretrina
MEDIKER shampoo principio attivo: piretrina
AFTIR gel principio attivo: malathion
http://www.istituti.vivoscuola.it/direzione-didattica-trento-2/GENITORI/pidocchi.htm
venerdì 18 settembre 2009
sicurezza in moto:arriva il giubbotto airbag
| ConnectAirbag per le moto: in arrivo la nuova protezione
Pubblicato da patchi in Salute.
Venerdì, 18 Settembre 2009.
Non solo il casco. E non solo la tuta con le protezioni, per proteggere al meglio motociclista e passeggero, in caso di incidenti stradali a bordo delle due ruote. Adesso e’ in arrivo anche l’airbag, pensato appositamente per i centauri e i loro passeggeri. Ecco come funziona questa nuova protezione.
Valentino Rossi e Marco Simoncelli hanno gia’ provato questa soluzione in pista. Ma presto potrebbe essere utilizzato dai motociclisti di tutto il mondo: bastera’ indossare un gilet, come quello mostrato nel nostro video qui sopra, per essere protetti al massimo anche quando siamo sulle due ruote.
L’airbag per motociclisti e’ stato realizzato dalla Dainese: “È già da una decina d’anni che abbiamo capito che le tradizionali protezioni ispirate al mondo naturale, cioè i corpetti e i paraschiena nati negli anni Settanta, non erano più sufficienti. La migliore soluzione per proteggere il corpo umano è l’aria. Non solo in caso di incidenti sulle due ruote, ma anche sulla neve, in tutti gli sport estremi, sul lavoro e per tutelare meglio i bambini che viaggiano in auto“.
Il gilet contiene tre sacchi protettivi, che si possono gonfiare in 30 millisecondi per proteggere il collo, il torace e la spina dorsale in caso di impatto con l’asfalto durante un incidente stradale. “Esistono modelli in cui l’airbag è collegato alla moto attraverso una cordicella. Si tratta di soluzioni primitive, il nostro D-air utilizza una tecnologia assai più sofisticata e puntuale, in cui l’attivazione delle protezioni viene gestito attraverso accelerometri e giroscopi“.
Il prodotto potrebbe arrivare sul mercato gia’ a partire dal 2011.
http://www.haisentito.it/articolo/airbag-per-le-moto-in-arrivo-la-nuova-protezione/17669/
Pubblicato da patchi in Salute.
Venerdì, 18 Settembre 2009.
Non solo il casco. E non solo la tuta con le protezioni, per proteggere al meglio motociclista e passeggero, in caso di incidenti stradali a bordo delle due ruote. Adesso e’ in arrivo anche l’airbag, pensato appositamente per i centauri e i loro passeggeri. Ecco come funziona questa nuova protezione.
Valentino Rossi e Marco Simoncelli hanno gia’ provato questa soluzione in pista. Ma presto potrebbe essere utilizzato dai motociclisti di tutto il mondo: bastera’ indossare un gilet, come quello mostrato nel nostro video qui sopra, per essere protetti al massimo anche quando siamo sulle due ruote.
L’airbag per motociclisti e’ stato realizzato dalla Dainese: “È già da una decina d’anni che abbiamo capito che le tradizionali protezioni ispirate al mondo naturale, cioè i corpetti e i paraschiena nati negli anni Settanta, non erano più sufficienti. La migliore soluzione per proteggere il corpo umano è l’aria. Non solo in caso di incidenti sulle due ruote, ma anche sulla neve, in tutti gli sport estremi, sul lavoro e per tutelare meglio i bambini che viaggiano in auto“.
Il gilet contiene tre sacchi protettivi, che si possono gonfiare in 30 millisecondi per proteggere il collo, il torace e la spina dorsale in caso di impatto con l’asfalto durante un incidente stradale. “Esistono modelli in cui l’airbag è collegato alla moto attraverso una cordicella. Si tratta di soluzioni primitive, il nostro D-air utilizza una tecnologia assai più sofisticata e puntuale, in cui l’attivazione delle protezioni viene gestito attraverso accelerometri e giroscopi“.
Il prodotto potrebbe arrivare sul mercato gia’ a partire dal 2011.
http://www.haisentito.it/articolo/airbag-per-le-moto-in-arrivo-la-nuova-protezione/17669/
esercizi per i bicipiti

BICIPITI/1
Perchè serve
Questo esercizio permette di concentrare il lavoro sui bicipiti. Farlo sedute evita movimenti o dondolamenti del busto, rendendo più efficace lo sforzo.
Come si fa
1 Siediti su una sedia con le gambe leggermente divaricate. Impugna un peso da due chili in modo che il palmo della mano sia rivolto verso la spalla e appoggia il gomito all'interno del ginocchio corrispondente. «La schiena deve rimanere dritta, il busto inclinato in avanti e gli addominali leggermente contratti, per evitare che la colonna vertebrale si incurvi» raccomanda la personal trainer Viviana Ghizzardi, del team Incorporesano. Parti con il braccio disteso.
2 Solleva lentamente il peso verso la spalla e ritorna nella posizione iniziale. Ripeti dieci volte per due serie, per ciascun braccio.da Donna moderna http://media.donnamoderna.com/medias/admin/cropped/3pcurlsa005alta.645.458.jpg
tetano:cos'è?come si contrae?
Tetano
http://www.vaccinazioni.net/tetano.html
Cos'è il tetano ?
Chi è più a rischio ?
Come si contrae il tetano ?
Prevenzione del tetano
Cos'è il tetano ?
Il tetano è una malattia letale causata dalla penetrazione del batterio Clostridium tetani nell'organismo, generalmente attraverso una ferita. I batteri si riproducono nella ferita producendo un potente veleno (tossina) che provoca rigidità e dolorose contrazioni muscolari. Mentre la vaccinazione ha largamente diminuito l'incidenza del tetano in Europa da quando è stata introdotta negli anni 50 e 60, il tetano come malattia non è scomparso. Se non si è vaccinati in modo adeguato vi è sempre il rischio che la malattia si sviluppi all'interno di ferite contaminate dal terreno.
Il periodo di incubazione è tra 4 e 21 giorni, generalmente di 10.
--------------------------------------------------------------------------------
Chi è più a rischio ?
Gli anziani sono il gruppo più a rischio perché molti non sono stati vaccinati da bambini. Attualmente ci sono molte persone al di sopra dei 40 anni che non hanno mai ricevuto una serie primaria del vaccino.
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Come si contrae il tetano ?
Il tetano si può contrarre facilmente anche attraverso una piccola ferita come un graffio, un taglio o un'ustione grave. Campioni di terreno, specialmente se contaminato da feci equine, contengono quasi sempre le spore "in letargo" del Clostridium tetani. Sono stati segnalati casi di tetano in cui il paziente non era in grado di ricordare la ferita in quanto di lievissima entità. I primi sintomi del tetano che il paziente può notare sono rigidità della mandibola e difficoltà ad aprire la bocca.
--------------------------------------------------------------------------------
Prevenzione del tetano
Il tetano è una malattia grave che può essere prevenuta con la vaccinazione. Le raccomandazioni per la vaccinazione antitetanica sono specifiche ad ogni paese europeo.
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Per ulteriori informazioni sul vaccino antitetano, consultate il vostro medico
http://www.vaccinazioni.net/tetano.html
Cos'è il tetano ?
Chi è più a rischio ?
Come si contrae il tetano ?
Prevenzione del tetano
Cos'è il tetano ?
Il tetano è una malattia letale causata dalla penetrazione del batterio Clostridium tetani nell'organismo, generalmente attraverso una ferita. I batteri si riproducono nella ferita producendo un potente veleno (tossina) che provoca rigidità e dolorose contrazioni muscolari. Mentre la vaccinazione ha largamente diminuito l'incidenza del tetano in Europa da quando è stata introdotta negli anni 50 e 60, il tetano come malattia non è scomparso. Se non si è vaccinati in modo adeguato vi è sempre il rischio che la malattia si sviluppi all'interno di ferite contaminate dal terreno.
Il periodo di incubazione è tra 4 e 21 giorni, generalmente di 10.
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Chi è più a rischio ?
Gli anziani sono il gruppo più a rischio perché molti non sono stati vaccinati da bambini. Attualmente ci sono molte persone al di sopra dei 40 anni che non hanno mai ricevuto una serie primaria del vaccino.
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Come si contrae il tetano ?
Il tetano si può contrarre facilmente anche attraverso una piccola ferita come un graffio, un taglio o un'ustione grave. Campioni di terreno, specialmente se contaminato da feci equine, contengono quasi sempre le spore "in letargo" del Clostridium tetani. Sono stati segnalati casi di tetano in cui il paziente non era in grado di ricordare la ferita in quanto di lievissima entità. I primi sintomi del tetano che il paziente può notare sono rigidità della mandibola e difficoltà ad aprire la bocca.
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Prevenzione del tetano
Il tetano è una malattia grave che può essere prevenuta con la vaccinazione. Le raccomandazioni per la vaccinazione antitetanica sono specifiche ad ogni paese europeo.
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Per ulteriori informazioni sul vaccino antitetano, consultate il vostro medico
Interazione tra Clopidogrel e inibitori della pompa protonica
Interazione tra Clopidogrel e inibitori della pompa protonica
Il Clopidogrel ( Plavix ) trova indicazione nella prevenzione degli eventi tromboembolici nei pazienti che hanno sofferto di un infarto del miocardio o un ictus ischemico, o che presentano un’arteriopatia periferica.
Associato all’Acido Acetilsalicilico ( Aspirina ), il Clopidogrel può essere impiegato nella prevenzione degli eventi aterotrombotici nei pazienti con sindrome coronaria acuta.
Gli inibitori della pompa protonica ( PPI ) trovano invece indicazione nel trattamento della malattia da reflusso gastroesofageo, dispepsia, o ulcere gastriche.
Il Clopidogrel può causare sintomi gastrointestinali ed è talora somministrato assieme agli inibitori della pompa protonica; in Gran Bretagna, l’Omeprazolo ( Losec ) e il Lansoprazolo ( Lansox ) sono gli inibitori della pompa protonica più prescritti in associazione al Clopidogrel.
In maggio, il Comitato Scientifico dell’EMEA, CHMP ( Committee for Medical Products for Human Use ) ha concluso che esiste evidenza di un’interazione clinicamente significativa tra Clopidogrel e inibitori della pompa protonica, che provoca una riduzione dell’efficacia dell’antiaggregante piastrinico.
Il CHMP ha raccomandato di non associare gli inibitori della pompa protonica al Clopidogrel, a meno che la co-terapia sia considerata necessaria.
Anche l’uso concomitante di altri farmaci che inibiscono CYP2C19 possono ridurre l’efficacia di Clopidogrel e dovrebbero essere evitati.
Evidenza per l’interazione
Il metabolita attivo del Clopidogrel viene prodotto dall’isoenzima CYP2C19. Diversi studi hanno mostrato che l’efficacia del Clopidogrel è diminuita nei pazienti con un polimorfismo dell’allele CYP2C19, che ha come conseguenza una ridotta attività di questo enzima.
Gli inibitori della pompa protonica condividono molte caratteristiche farmacocinetiche, e studi in vitro hanno trovato che tutti e cinque i prodotti commercializzati in Gran Bretagna esibiscono un’inibizione competitiva, anche se a differenti gradi.
Gli studi di coorte e uno studio caso-controllo hanno mostrato un’attenuazione del beneficio clinico del Clopidogrel con l’uso concomitante degli inibitori della pompa protonica nei pazienti con precedente ristenosi dell’arteria coronaria oppure con infarto miocardico, con evidenze significative osservate già a 90 giorni dall’inizio della terapia.
Sebbene la maggioranza degli studi siano osservazionali, e pertanto con alcune limitazioni, i più recenti studi sono stati disegnati in modo da valutare la potenziale interazione; non tutti gli studi hanno tuttavia mostrato l’esistenza di un’interazione tra Clopidogrel e gli inibitori della pompa protonica e le ragioni non sono chiare.
La diversa affinità degli inibitori della pompa protonica per l’isoenzima CYP2C19 sta ad indicare che l’interazione mediata da questo enzima può non essere necessariamente un effetto di classe.
La riduzione di efficacia per il Clopidogrel è stata chiaramente dimostrata con l’Omeprazolo.
Lo studio Clopidogrel Medco Outcomes Study, che ha riguardato 16.690 pazienti, ha trovato che l’incidenza di rischio composito di ricovero in ospedale per infarto miocardico, ictus, angina instabile, o per ripetizione della rivascolarizzazione era del 18% tra i pazienti trattati con Clopidogrel senza uso associato degli inibitori della pompa protonica, 24% per coloro che facevano anche uso di Lansoprazolo, 25% per il concomitante uso di Esomeprazolo ( Nexium ), 25% per l’Omeprazolo e 29% per l’impiego concomitante di Pantoprazolo ( Pantecta ).
Un altro studio ha trovato un aumento significativo del rischio di eventi cardiovascolari in coloro che assumevano Clopidogrel e un inibitore della pompa protonica ( odds ratio, OR=1.4 ) e nessun significativo aumento per coloro che stavano assumendo Clopidogrel e Pantoprazolo ( OR=1.02 ).
Sulla base dei dati di farmacocinetica, altri farmaci, come gli antagonisti H2 o gli antiacidi, non dovrebbero interagire con il Clopidogrel. Tuttavia, non esistono studi clinici a sostegno dell’impiego di questi farmaci. ( Xagena2009 )
Fonte: MHRA – Drug Safety Update, 2009
Farma2009 Gastro2009 Cardio2009
http://www.farmacologia.net/index.php?show=15258&pageNum=0
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Xagena.it
Il Clopidogrel ( Plavix ) trova indicazione nella prevenzione degli eventi tromboembolici nei pazienti che hanno sofferto di un infarto del miocardio o un ictus ischemico, o che presentano un’arteriopatia periferica.
Associato all’Acido Acetilsalicilico ( Aspirina ), il Clopidogrel può essere impiegato nella prevenzione degli eventi aterotrombotici nei pazienti con sindrome coronaria acuta.
Gli inibitori della pompa protonica ( PPI ) trovano invece indicazione nel trattamento della malattia da reflusso gastroesofageo, dispepsia, o ulcere gastriche.
Il Clopidogrel può causare sintomi gastrointestinali ed è talora somministrato assieme agli inibitori della pompa protonica; in Gran Bretagna, l’Omeprazolo ( Losec ) e il Lansoprazolo ( Lansox ) sono gli inibitori della pompa protonica più prescritti in associazione al Clopidogrel.
In maggio, il Comitato Scientifico dell’EMEA, CHMP ( Committee for Medical Products for Human Use ) ha concluso che esiste evidenza di un’interazione clinicamente significativa tra Clopidogrel e inibitori della pompa protonica, che provoca una riduzione dell’efficacia dell’antiaggregante piastrinico.
Il CHMP ha raccomandato di non associare gli inibitori della pompa protonica al Clopidogrel, a meno che la co-terapia sia considerata necessaria.
Anche l’uso concomitante di altri farmaci che inibiscono CYP2C19 possono ridurre l’efficacia di Clopidogrel e dovrebbero essere evitati.
Evidenza per l’interazione
Il metabolita attivo del Clopidogrel viene prodotto dall’isoenzima CYP2C19. Diversi studi hanno mostrato che l’efficacia del Clopidogrel è diminuita nei pazienti con un polimorfismo dell’allele CYP2C19, che ha come conseguenza una ridotta attività di questo enzima.
Gli inibitori della pompa protonica condividono molte caratteristiche farmacocinetiche, e studi in vitro hanno trovato che tutti e cinque i prodotti commercializzati in Gran Bretagna esibiscono un’inibizione competitiva, anche se a differenti gradi.
Gli studi di coorte e uno studio caso-controllo hanno mostrato un’attenuazione del beneficio clinico del Clopidogrel con l’uso concomitante degli inibitori della pompa protonica nei pazienti con precedente ristenosi dell’arteria coronaria oppure con infarto miocardico, con evidenze significative osservate già a 90 giorni dall’inizio della terapia.
Sebbene la maggioranza degli studi siano osservazionali, e pertanto con alcune limitazioni, i più recenti studi sono stati disegnati in modo da valutare la potenziale interazione; non tutti gli studi hanno tuttavia mostrato l’esistenza di un’interazione tra Clopidogrel e gli inibitori della pompa protonica e le ragioni non sono chiare.
La diversa affinità degli inibitori della pompa protonica per l’isoenzima CYP2C19 sta ad indicare che l’interazione mediata da questo enzima può non essere necessariamente un effetto di classe.
La riduzione di efficacia per il Clopidogrel è stata chiaramente dimostrata con l’Omeprazolo.
Lo studio Clopidogrel Medco Outcomes Study, che ha riguardato 16.690 pazienti, ha trovato che l’incidenza di rischio composito di ricovero in ospedale per infarto miocardico, ictus, angina instabile, o per ripetizione della rivascolarizzazione era del 18% tra i pazienti trattati con Clopidogrel senza uso associato degli inibitori della pompa protonica, 24% per coloro che facevano anche uso di Lansoprazolo, 25% per il concomitante uso di Esomeprazolo ( Nexium ), 25% per l’Omeprazolo e 29% per l’impiego concomitante di Pantoprazolo ( Pantecta ).
Un altro studio ha trovato un aumento significativo del rischio di eventi cardiovascolari in coloro che assumevano Clopidogrel e un inibitore della pompa protonica ( odds ratio, OR=1.4 ) e nessun significativo aumento per coloro che stavano assumendo Clopidogrel e Pantoprazolo ( OR=1.02 ).
Sulla base dei dati di farmacocinetica, altri farmaci, come gli antagonisti H2 o gli antiacidi, non dovrebbero interagire con il Clopidogrel. Tuttavia, non esistono studi clinici a sostegno dell’impiego di questi farmaci. ( Xagena2009 )
Fonte: MHRA – Drug Safety Update, 2009
Farma2009 Gastro2009 Cardio2009
http://www.farmacologia.net/index.php?show=15258&pageNum=0
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Xagena.it
Influenza suina: consigli per prevenire e curare
giovedì 17 settembre
AUTORE DEL L'ARTICOLO
pint74
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Si parla tanto di vaccinazione come mezzo per evitare la nuova influenza, ma la prevenzione e le possibili cure alternative al vaccino o in caso si
contraesse la malattia prima della vaccinazione, quali sono?
In queste righe tratteremo la prevenzione e le possibili cure alternative che non contemplano l’uso di farmaci. Iniziamo con la prevenzione.
Ricordiamoci che siamo davanti ad una banale influenza che grazie a molti media è diventata una sorta di "piaga", che ha creato fobie e paure ingiustificate. Ecco come diminuire le possibilità di essere contagiati o di contagiare gli altri:
coprire con un fazzoletto (possibilmente di carta) naso e bocca quando si starnutisce e gettare il fazzoletto nella spazzatura o nella biancheria da lavare dopo averlo usato;
lavare spesso le mani con acqua e sapone e in particolare dopo avere tossito o starnutito o dopo aver frequentato luoghi e mezzi di trasporto pubblici; se acqua e sapone non sono disponibili è possibile usare in alternativa soluzioni detergenti a base di alcol;
evitare di toccare occhi, naso e bocca con le mani non pulite; i germi, e non soltanto quelli dell’influenza, si diffondono in questo modo;
rimanere a casa se malati evitando di intraprendere viaggi e di recarsi al lavoro o a scuola, in modo da limitare contatti possibilmente infettanti con altre persone, nonché ridurre il rischio di complicazioni ed infezioni concomitanti (superinfezioni) da parte di altri batteri o virus.
Questi i consigli dispensati dal Ministero della Salute. In aggiunta si potrebbe anche integrare questa stringata lista con altri utili consigli:
tenere le superfici, soprattutto dei giocattoli e in bagno, sempre pulite;
se è possibile, il malato dovrebbe essere accudito da una sola persona che, in caso di stretto contatto, dovrebbe indossare una mascherina;
la persona che si prende cura di un malato non dovrebbe rientrare in una delle categorie a rischio.
Per evitare che qualche notizia distorta appresa da alcuni giornali o da alcune reti tv possa confondere le idee su cosa abbiamo davanti, continuo a rammentarvi che questa è comunque una comune influenza che si distingue da quella stagionale solo per una maggiore velocità di diffusione (per ora nemmeno sulla carta) e per una minore mortalità rispetto all’influenza stagionale.
Come si trasmette l’influenza suina?Proprio come l’influenza normale, visto che sempre di influenza si tratta: attraverso gocce di saliva di chi tossisce o starnutisce (oppure anche attraverso piccolissime goccioline di saliva o aerosol, ma si tratta di casi rari che si verificano in ambito ospedaliero); per contatto diretto o indiretto (esempio, quando un soggetto infetto tossisce nella propria mano, e poi stringe la mano di un soggetto sano).
L’ECDCricorda che "le persone colpite da influenza sono più “infettive” immediatamente dopo l’inizio dei sintomi e, nonostante continuino ad espellere il virus fino a cinque giorni dopo l’inizio dei primi sintomi (7 giorni nei bambini), la quantità di virus – e quindi il rischio di diffondere l’infezione – diminuisce progressivamente".
Questo vale per l’influenza stagionale ma anche per l’influenza suina (http://www.ministerosalute.it/faqGe...). Se date un’occhiata al sito ISStroverete le stesse raccomandazioni date per prevenire il contagio dell’influenza stagionale del 2006. Forse rimarrete stupiti dalla somiglianza dei provvedimenti di contenimento del contagio e dalle similarità dell’influenza suina con una qualsiasi normale influenza stagionale. Questo perché forse certi media, hanno "leggermente" esagerato con le notizie riguardanti la "suina".
Dopo la prevenzione, ecco il trattamento dei sintomi. Dal Ministero della Salute ecco alcuni validi consigli: "il trattamento dei sintomi, l’assunzione di liquidi (acqua, tè, brodo, succhi di frutta) ed il riposo (per 24-48 ore dopo la scomparsa della febbre) sono in genere sufficienti per la completa guarigione nella maggior parte dei casi d’influenza non complicata".
Se poi ci guardiamo in giro, i siti che propongono molti sistemi di cura alternativi e naturali dell’influenza sono molti. Ecco alcuni passi da Yahoo salute, consigli che si trovano su gran parte dei siti e dei blog che preferiscono usare le cure naturali che farmaci o vaccini.
"La cipolla, poi, ricca di vitamine e sali minerali, è un antisettico naturale. L’aglio grazie alla notevole quantità di ferro, sali minerali e svariate vitamine (A, B1, B2, PP e C) si rivelerebbe utile per combattere catarri bronchiali e febbri, oltre ad essere un ottimo antisettico. Il limone, che secondo alcuni purificherebbe l’organismo dalle tossine, è consigliato per disinfettare la gola con semplici gargarismi".
"Le mele e le pere, invece, aiuterebbero a mantenere sani i polmoni migliorando le condizioni delle vie respiratorie. Infine come non nominare le arance, ricchissime di vitamina C, che aiutano il nostro organismo ad assorbire il ferro dai vegetali e stimolano le difese del sistema immunitario, contribuendo a prevenire le malattie da raffreddamento" (fonte http://it.health.yahoo.net/c_specia...).
Ma forse la serie di consigli più completa la troviamo su Altrogiornale:
alimentazione ricca in frutta e verdura: le famose 5 porzioni al giorno;
tra gli alimenti aggiungere sempre aglio fresco alle insalate;
integratori: vitamina C naturale (Rosa canina) ed oligoelementi (Zinco e Rame) possono aiutare il nostro organismo;
evitare i fattori di rischio (fumo, ambienti e comunità chiuse);
la pianta medicinale maggiormente utilizzata nella terapia dell’influenza, e per la quale esistono anche evidenze scientifiche, è l’ Echinacea. Si utilizzano le tre specie di Echiancea (pallida, purpurea ed angustifolia) in forma di estratto;
la pianta è reperibile in molti integratori. Sono consigliati quelli che contengono estratti standardizzati nei principi attivi utili (polisaccaridi, polifenoli). Seguire le indicazioni.
Con un utile consiglio finale: i soggetti allergici, quelli in terapia con altri farmaci dovrebbero prima consultare il proprio medico o farmacista. E’ controindicata nei pazienti affetti da malattie autoimmuni.
Ed è proprio un’alimentazione sana e ricca di vitamine che sembra far la differenza (oltre ad uno stile di vita sano). Infatti per un sistema immunitario efficiente, l’influenza non rappresenta qualcosa di grave. Ovviamente ci sono casi rarissimi in cui persone sane vengono colpite da complicazioni gravi, ma questi casi possono imputarsi ad altri fattori che per qualche combinazione davvero sfortunata causano l’aggravarsi della malattia. Insomma, sono rarità.
La lista delle persone a rischio complicanze la trovate, ovviamente, sul sito del Ministero della Sanità. Interessante è leggere chi sono veramente le persone a "rischio".
"In particolare sono considerate persone a rischio quelle affette da: malattie croniche a carico dell’apparato respiratorio, inclusa asma, displasia broncopolmonare, fibrosi cistica e BPCO; malattie dell’apparato cardiocircolatorio, comprese le cardiopatie congenite ed acquisite; diabete mellito e altre malattie metaboliche; malattie renali con insufficienza renale; malattie degli organi emopoietici ed emoglobinopatie; neoplasie; gravi epatopatie e cirrosi epatica; malattie congenite ed acquisite che comportino carente produzione di anticorpi; immunosoppressione indotta da farmaci o da HIV; malattie infiammatorie croniche e sindromi da malassorbimento intestinale; patologie associate ad un aumentato rischio di aspirazione delle secrezioni respiratorie, ad esempio malattie neuromuscolari; obesità con indice di massa corporea (BMI) > 30 e gravi patologie concomitanti; condizione di familiare o di contatto stretto di soggetti ad alto rischio che, per controindicazioni temporanee o permanenti, non possono essere vaccinati"(fonte http://www.ministerosalute.it/faqGe...). Vengono indicate anche donne in gravidanza e bambini sotto i 5 anni.
Ora sorge un problema. Visto che l’Ue ha detto che "il vaccino è sicuro ma non per tutti", chi sono le persone per cui il vaccino non è sicuro? "Sono possibili effetti collaterali per le donne incinte, i bambini e i malati cronici". Guarda che caso. Proprio le persone che "dovrebbero" avere più bisogno del vaccino, secondo il Ministero della Salute. La notizia giunge fresca fresca da La Stampa.
"Una volta ottenuto il certificato europeo il vaccino contro l’influenza A sarà «efficace e sicuro». Tuttavia, ammette la responsabile dell’Unione europea per la Salute, Androulla Vassiliou, resterà inevitabilmente un margine d’incertezza quanto agli effetti collaterali possibili per le categorie più a rischio, come le donne incinte, i bambini e i malati cronici". Quindi cautela cari lettori. Ai prossimi aggiornamenti.
http://www.agoravox.it/Influenza-suina-consigli-per.html
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Si parla tanto di vaccinazione come mezzo per evitare la nuova influenza, ma la prevenzione e le possibili cure alternative al vaccino o in caso si
contraesse la malattia prima della vaccinazione, quali sono?
In queste righe tratteremo la prevenzione e le possibili cure alternative che non contemplano l’uso di farmaci. Iniziamo con la prevenzione.
Ricordiamoci che siamo davanti ad una banale influenza che grazie a molti media è diventata una sorta di "piaga", che ha creato fobie e paure ingiustificate. Ecco come diminuire le possibilità di essere contagiati o di contagiare gli altri:
coprire con un fazzoletto (possibilmente di carta) naso e bocca quando si starnutisce e gettare il fazzoletto nella spazzatura o nella biancheria da lavare dopo averlo usato;
lavare spesso le mani con acqua e sapone e in particolare dopo avere tossito o starnutito o dopo aver frequentato luoghi e mezzi di trasporto pubblici; se acqua e sapone non sono disponibili è possibile usare in alternativa soluzioni detergenti a base di alcol;
evitare di toccare occhi, naso e bocca con le mani non pulite; i germi, e non soltanto quelli dell’influenza, si diffondono in questo modo;
rimanere a casa se malati evitando di intraprendere viaggi e di recarsi al lavoro o a scuola, in modo da limitare contatti possibilmente infettanti con altre persone, nonché ridurre il rischio di complicazioni ed infezioni concomitanti (superinfezioni) da parte di altri batteri o virus.
Questi i consigli dispensati dal Ministero della Salute. In aggiunta si potrebbe anche integrare questa stringata lista con altri utili consigli:
tenere le superfici, soprattutto dei giocattoli e in bagno, sempre pulite;
se è possibile, il malato dovrebbe essere accudito da una sola persona che, in caso di stretto contatto, dovrebbe indossare una mascherina;
la persona che si prende cura di un malato non dovrebbe rientrare in una delle categorie a rischio.
Per evitare che qualche notizia distorta appresa da alcuni giornali o da alcune reti tv possa confondere le idee su cosa abbiamo davanti, continuo a rammentarvi che questa è comunque una comune influenza che si distingue da quella stagionale solo per una maggiore velocità di diffusione (per ora nemmeno sulla carta) e per una minore mortalità rispetto all’influenza stagionale.
Come si trasmette l’influenza suina?Proprio come l’influenza normale, visto che sempre di influenza si tratta: attraverso gocce di saliva di chi tossisce o starnutisce (oppure anche attraverso piccolissime goccioline di saliva o aerosol, ma si tratta di casi rari che si verificano in ambito ospedaliero); per contatto diretto o indiretto (esempio, quando un soggetto infetto tossisce nella propria mano, e poi stringe la mano di un soggetto sano).
L’ECDCricorda che "le persone colpite da influenza sono più “infettive” immediatamente dopo l’inizio dei sintomi e, nonostante continuino ad espellere il virus fino a cinque giorni dopo l’inizio dei primi sintomi (7 giorni nei bambini), la quantità di virus – e quindi il rischio di diffondere l’infezione – diminuisce progressivamente".
Questo vale per l’influenza stagionale ma anche per l’influenza suina (http://www.ministerosalute.it/faqGe...). Se date un’occhiata al sito ISStroverete le stesse raccomandazioni date per prevenire il contagio dell’influenza stagionale del 2006. Forse rimarrete stupiti dalla somiglianza dei provvedimenti di contenimento del contagio e dalle similarità dell’influenza suina con una qualsiasi normale influenza stagionale. Questo perché forse certi media, hanno "leggermente" esagerato con le notizie riguardanti la "suina".
Dopo la prevenzione, ecco il trattamento dei sintomi. Dal Ministero della Salute ecco alcuni validi consigli: "il trattamento dei sintomi, l’assunzione di liquidi (acqua, tè, brodo, succhi di frutta) ed il riposo (per 24-48 ore dopo la scomparsa della febbre) sono in genere sufficienti per la completa guarigione nella maggior parte dei casi d’influenza non complicata".
Se poi ci guardiamo in giro, i siti che propongono molti sistemi di cura alternativi e naturali dell’influenza sono molti. Ecco alcuni passi da Yahoo salute, consigli che si trovano su gran parte dei siti e dei blog che preferiscono usare le cure naturali che farmaci o vaccini.
"La cipolla, poi, ricca di vitamine e sali minerali, è un antisettico naturale. L’aglio grazie alla notevole quantità di ferro, sali minerali e svariate vitamine (A, B1, B2, PP e C) si rivelerebbe utile per combattere catarri bronchiali e febbri, oltre ad essere un ottimo antisettico. Il limone, che secondo alcuni purificherebbe l’organismo dalle tossine, è consigliato per disinfettare la gola con semplici gargarismi".
"Le mele e le pere, invece, aiuterebbero a mantenere sani i polmoni migliorando le condizioni delle vie respiratorie. Infine come non nominare le arance, ricchissime di vitamina C, che aiutano il nostro organismo ad assorbire il ferro dai vegetali e stimolano le difese del sistema immunitario, contribuendo a prevenire le malattie da raffreddamento" (fonte http://it.health.yahoo.net/c_specia...).
Ma forse la serie di consigli più completa la troviamo su Altrogiornale:
alimentazione ricca in frutta e verdura: le famose 5 porzioni al giorno;
tra gli alimenti aggiungere sempre aglio fresco alle insalate;
integratori: vitamina C naturale (Rosa canina) ed oligoelementi (Zinco e Rame) possono aiutare il nostro organismo;
evitare i fattori di rischio (fumo, ambienti e comunità chiuse);
la pianta medicinale maggiormente utilizzata nella terapia dell’influenza, e per la quale esistono anche evidenze scientifiche, è l’ Echinacea. Si utilizzano le tre specie di Echiancea (pallida, purpurea ed angustifolia) in forma di estratto;
la pianta è reperibile in molti integratori. Sono consigliati quelli che contengono estratti standardizzati nei principi attivi utili (polisaccaridi, polifenoli). Seguire le indicazioni.
Con un utile consiglio finale: i soggetti allergici, quelli in terapia con altri farmaci dovrebbero prima consultare il proprio medico o farmacista. E’ controindicata nei pazienti affetti da malattie autoimmuni.
Ed è proprio un’alimentazione sana e ricca di vitamine che sembra far la differenza (oltre ad uno stile di vita sano). Infatti per un sistema immunitario efficiente, l’influenza non rappresenta qualcosa di grave. Ovviamente ci sono casi rarissimi in cui persone sane vengono colpite da complicazioni gravi, ma questi casi possono imputarsi ad altri fattori che per qualche combinazione davvero sfortunata causano l’aggravarsi della malattia. Insomma, sono rarità.
La lista delle persone a rischio complicanze la trovate, ovviamente, sul sito del Ministero della Sanità. Interessante è leggere chi sono veramente le persone a "rischio".
"In particolare sono considerate persone a rischio quelle affette da: malattie croniche a carico dell’apparato respiratorio, inclusa asma, displasia broncopolmonare, fibrosi cistica e BPCO; malattie dell’apparato cardiocircolatorio, comprese le cardiopatie congenite ed acquisite; diabete mellito e altre malattie metaboliche; malattie renali con insufficienza renale; malattie degli organi emopoietici ed emoglobinopatie; neoplasie; gravi epatopatie e cirrosi epatica; malattie congenite ed acquisite che comportino carente produzione di anticorpi; immunosoppressione indotta da farmaci o da HIV; malattie infiammatorie croniche e sindromi da malassorbimento intestinale; patologie associate ad un aumentato rischio di aspirazione delle secrezioni respiratorie, ad esempio malattie neuromuscolari; obesità con indice di massa corporea (BMI) > 30 e gravi patologie concomitanti; condizione di familiare o di contatto stretto di soggetti ad alto rischio che, per controindicazioni temporanee o permanenti, non possono essere vaccinati"(fonte http://www.ministerosalute.it/faqGe...). Vengono indicate anche donne in gravidanza e bambini sotto i 5 anni.
Ora sorge un problema. Visto che l’Ue ha detto che "il vaccino è sicuro ma non per tutti", chi sono le persone per cui il vaccino non è sicuro? "Sono possibili effetti collaterali per le donne incinte, i bambini e i malati cronici". Guarda che caso. Proprio le persone che "dovrebbero" avere più bisogno del vaccino, secondo il Ministero della Salute. La notizia giunge fresca fresca da La Stampa.
"Una volta ottenuto il certificato europeo il vaccino contro l’influenza A sarà «efficace e sicuro». Tuttavia, ammette la responsabile dell’Unione europea per la Salute, Androulla Vassiliou, resterà inevitabilmente un margine d’incertezza quanto agli effetti collaterali possibili per le categorie più a rischio, come le donne incinte, i bambini e i malati cronici". Quindi cautela cari lettori. Ai prossimi aggiornamenti.
http://www.agoravox.it/Influenza-suina-consigli-per.html
influenza suina:cos'è?sintomi prevenzione e cure
Influenza dei suini: sintomi e caratteristiche
L’influenza A (era influenza dei suini) è una malattia respiratoria virale molto contagiosa che colpisce con una bassa percentuale di mortalità (dall’uno al quattro per cento). La trasmissione avviene per via aerea attraverso piccole gocce di saliva di chi tossisce o starnutisce, ma anche per via indiretta attraverso il contatto con mani contaminate da secrezioni respiratorie ed il periodo di incubazione è in genere di qualche giorno. Esistono portatori sani del virus non riconoscibili.
Il paziente infettato è contagioso da 2-3 giorni prima della comparsa dei sintomi e per i 4-5 giorni successivi; si stima che ogni nuovo contagiato sia pronto ad infettare 1.5 persone nei tre giorni precedenti alla comparsa di febbre, tosse e degli altri sintomi della febbre suina, in altre parole ogni giorno che il malato inconsapevole trascorre al lavoro, a scuola, in metro, è causa di un’altra mezzo contagio. Alcune categorie, bambini sopratutto, possono rimanere contagiosi anche per 10 giorni o più.
Il criterio clinico per riconoscere un caso di influenza suina prevede di rilevare un brusco esordio di patologia respiratoria con febbre uguale o superiore a 38° ad almeno uno dei seguenti sintomi:
cefalea,
malessere,
sensazione di febbre (brividi, sudorazione)
astenia (stanchezza, spossatezza)
ed almeno una delle seguenti condizioni
tosse,
naso che cola,
mal di gola.
E’ comunque possibile che si manifestino altri sintomi, tra cui raffreddore, nausea, vomito e diarrea.
Influenza suina e bambini
Nei bambini più piccoli, incapaci di descrivere i sintomi, questi si possono manifestare con irritabilità, pianto, mancanza di appetito.
Nel lattante l’influenza è spesso accompagnata di vomito, diarrea e solo eccezionalmente febbre.
Nei bambini in età prescolare spesso compaiono occhi arrossati e congiuntivite.
Nel bambino tra 1 e 5 anni spesso è associata a mal di gola, bronchite e febbre elevata.
Erano sporadicamente stati segnalati in passato contagi suino-uomo: i sintomi si presentavano nell’uomo simili alla tradizionale influenza, ma la casistica riporta anche estremi come soggetti asintomatici e soggetti deceduti per complicazione insorte a causa dell’influenza, come la polmonite.
E’ stata avanzata l’ipotesi che il paziente 0, il primo ad aver manifestato i sintomi dell’attuale febbre suina, sia stato un bambino di 4 anni (Edgar), residente in piccolo paesino di 3000 anime (La Gloria); i concittadini di Edgar, ammalatosi i primi giorni di aprile, sono convinti che la causa vada ricercata nell’allevamento locale di maiali, uno dei più grandi del mondo e di proprietà di una azienda statunitense. Nonostante le vibranti proteste che si sono susseguite in passato a causa di cattivi odori e scarsa igiene, l’allevamento incriminato potrebbe aver contaminato, a detta degli abitanti, le acque e l’aria.
Generalmente l’uomo viene contagiato direttamente dall’animale infetto, ma si ipotizzano casi di contagio a causa dell’ambiente che aveva ospitato maiali infetti. Il contagio uomo-uomo era possibile, ma molto raro e circoscritto a particolari circostanze.
La situazione attuale è invece considerata molto grave perchè una nuova variante del virus è in grado di trasmettersi da uomo a uomo.
L’OIE, organizzazione mondiale per la salute degli animali, interviene sottolineando che il virus responsabile di quella che definiamo influenza suina non è in realtà mai stato isolato in un animale nella stessa variante.
Al momento si ritiene che non sia possibile il contagio con il consumo di carne infetta, perché il virus non sopravvive alle temperature superiori ai 70° tipiche della cottura (ed inoltre l’Italia non importa da almeno 10 anni carne suina dal Messico) mentre tra uomini il contagio può essere facilitato dagli stessi fattori di rischio dell’influenza tradizionale: strette di mano, starnuti, luoghi chiusi ed affollati, … Si tratta di un virus molto sensibile e non e’ piu’ presente nei salumi, anche crudi, sottoposti ad essicazione e maturazione.
Non esiste al momento in commercio un vaccino efficace per il virus dell’influenza suina e non deve essere usato nessun antivirale o peggio, antibiotico in via preventiva. Il vaccino è in produzione è sarà commercializzato presumibilmente verso l’autunno.
Secondo l’Oms non tutti i farmaci antivirali oggi disponibili sono efficaci: sensibile all’Oseltamivir (Tamiflu® in Italia) e Zanamivir (Relenza®), mentre sembra resistente all’amatadina e alla rimantidina. Per il trattamento dei casi di influenza il sottosegretario alla Salute Fazio spiega che serve un ciclo di Oseltamvir con con 2 capsule al giorno per 5 giorni.
E’ notizia del 12 maggio che alcuni ospedali americani e messicani segnalano i primi fenomeni di resistenza del virus all’Oseltamvir (Tamiflu®); la comparsa di resistenza rende quindi necessario accelerare i tempi per la produzione di grandi quantità del vaccino specifico per l’influenza A suina.
L’infezione non è più circoscritta agli Stati Uniti e al Messico, ma la diffusione è ormai mondiale; in Italia al momento i casi sono particolarmente ridotti se paragonati a nazioni come l’Inghilterra, ma ci si aspetta prima o poi un aumento dei casi anche nel Belpaese.
Nel caso in cui stiate tornando da uno dei Paesi colpiti è necessario:
tenere sotto controllo eventuali sintomi nei successivi 7-10 giorni,
in caso di comparsa di sintomi influenzali (faringite, tosse secca, mal di testa, dolori muscolari,…) e necessario contattare immediatamente assistenza medica.
a causa dell’elevata facilità di trasmissione e dell’assenza di immunità nella popolazione italiana lo Stato invita tutti i cittadini che rientrano dal Messico e che lavorano in ambienti chiusi e a contatto con collettività, fra cui gli studenti ed i bambini, a rimanere a casa per sette giorni a partire dalla data di rientro dal Messico.
Attivati i controlli alle frontiere per intercettare chi torna dal Messico, prendere nota delgli estremi anagrafici e comunicarla alla Asle.
Se invece fosse necessario andare in Messico o negli Stati Uniti, per ridurre il rischio di contagio si consiglia di:
Coprire bocca e naso con un fazzoletto di carta quando si starnutisce gettandolo subito dopo,
evitare luoghi molto affollati,
aerare spesso gli ambienti dove si soggiorna,
non portare le mani a contatto con le mucose con occhi, naso e bocca,
lavarsi spesso le mani con detergenti alcolici o sapone,
usare una mascherina a maglie fini di tipo industriale,
isolamento volontario da soggetti malati,
in caso di temperatura corporea maggiore di 38 ° C, tosse, mal di gola,malessere, rivolgersi ad un medico,
non considerare sufficiente il vaccino antinfluenzale tradizionale.
Si definisce caso sospetto di influenza A una persona che risponda ai sintomi sopra descritti e che sia venuta in contatto con un’area interessata o con un caso confermato.
Cura e farmaci
In caso di malattia il Minstero ed i medici di famiglia invitano di non recarsi in Pronto Soccorso (a meno di sintomatologia particolarmente grave), in ambulatorio od in farmacia, ma di contattare preventivamente il proprio medico di famiglia.
Il Ministero della Sanità ha diffuso le nuove linee guida (22 luglio) per gli operatori sanitari che illustrano nel dettaglio i criteri di scelta ed i protocolli per la profilassi ed il trattamento dei casi di influenza A. Di seguito le principali considerazioni:
Le future necessità potrebbero essere maggiori delle attuali, è quindi indispensabile valutare criticamente caso per caso senza procedere sistematicamente all’uso degli antivirali.
Il vaccino non garantirà l’immunità.
Bambini con più di 2 anni, adolescenti ed adulti non necessitano di norma alcuna terapia antivirale, in quanto l’influenza A si è dimostrata essere autolimitante.
Nelle persone anziane, ossia con più di 65 anni, è invece consigliabile valutare attentamente la situazione clinica per decidere se ricorrere o meno a farmaci antivirali, sopratutto nei soggetti a forte rischio di complicanze (bambini con meno di 2 anni, malattie polmonari, cardiovascolari ma non gli ipertesi, diabetici, HIV, …).
Il trattamento è sempre raccomandato nelle donne in gravidanza, negli asmatici, negli obesi con Indice di Massa Corporea superiore a 30.
Anche in allattamento è possibile l’utilizzo dei farmaci antivirali, poichè i vantaggi per il lattante sono superiori ai trascurabili rischi.
Il trattamento, quando deciso, dev’essere iniziato il prima possibile e portato sempre a termine a meno di effetti collaterali.
Il ciclo completo prevede 5 giorni di terapia, 2 somministrazioni al giorni (cioè ogni 12 ore) qualsiasi sia il farmaco scelto (Oseltamivir o Zanamivir, cioè Tamiflu® o Relenza®).
La durata del trattamento preventivo è invece di 10 giorni, sempre con doppia somministrazione giornaliera, dal momento dell’ultima esposizione.
Uno studio recente, pubblicato sulla rivista Eurosurveillance, ha dimostrato che in molti bambini trattati a scopo profilattico con Oseltamivir si sono presentati effetti collaterali quali nausea, vomito, diarrea, incubi e insonnia.
I medici di famiglia consigliano, in caso di contagio, di:
non uscire da casa,
sostare sempre nella stessa stanza,
se possibile usare un bagno diverso dagli altri membri del nucleo famigliare,
avere contatti con un unico famigliare,
evitare contatti non strettamente necessari con familiari e amici e ancor più con i bambini e donne in stato di gravidanza,
coprire bocca e naso con fazzoletto di carta in caso di tosse o starnuti,
smaltire i fazzoletti in sacchetti chiusi immediatamente dopo l’uso.
E’ invece importante che in casa gli altri membri della famiglia:
provvedano ad arieggiare gli ambienti;
si lavino accuratamente e frequentemente le mani con acqua calda e sapone dopo ogni contatto con il malato;
evitino il contatto diretto con le diverse secrezioni ed escrezioni del malato, in caso di necessità a seguito del contatto è consigliabile lavarsi le mani o le altre parti del corpo, cambiare gli indumenti e lavarli come di consueto;
evitare di portare le mani a contatto con le mucose degli occhi, del naso e della bocca;
fare uso di guanti usa e getta per la pulizia dei materiali usati dal malato e/o contaminati da secrezioni e/o escrezioni del malato (fazzolettini, pigiami, biancheria) e lavarsi sempre le mani dopo la rimozione dei guanti che vanno smaltiti ogni volta e non riutilizzati.
prima di riutilizzare asciugamani, posateria, bicchieri, indumenti, lenzuola, coperte e federe usate dal malato è necessario procedere al consueto lavaggio a caldo (temperatura superiore a 70°);
Prevenzione
Lavarsi frequentemente le mani
Coprire bocca e naso quando si starnutisce
isolamento volontario dalle persone con malattie respiratorie febbrili
uso di mascherine.
Mantenere un’adeguata distanza (circa 1 m) tra persona e persona è considerata una misura efficace per prevenire la trasmissione dell’influenza (17.Glass RJ et al. Targeted social distancing design for pandemic influenza. EmergInfect Dis 2006; 12:1671-81)
Gravidanza
La società italiana di ginecologia ed ostetricia tranquillizza le donne in gravidanza spiegando che le terapie antivirali disponibili sono assolutamente sicure anche per il feto.
Si consiglia in ogni caso di rivolgersi prontamente al ginecologo in caso di dubbi, in modo da valutare la possibilità di ricorrere ad una terapia preventiva in caso di sintomi sospetti (Fonte: SIGO), anche perchè secondo recenti ricerche sembra che le donne incinte siano maggiormente esposte al rischio di complicazioni gravi.
Il momento più pericoloso in caso di infezione da nuova influenza sembra essere il secondo ed il terzo trimestre di gravidanza, anche perchè le donne incinte si rivelano essere facile bersaglio del virus dell’influenza suina; come in tutti i pazienti a rischio, anche le donne in gravidanza possono e devono ricorrere dietro parere medico al trattamento, anche preventivo, con antivirali. Al momento esistono maggiori studi relativi all’uso in gravidanza dell’oseltamvir rispetto allo zanamivirir, quindi il primo è da preferire (fonte Gravidanza e nuova influenza, Canadian Medical Association Journal).
Entrambi i farmaci sono inoltre indicati anche in caso di allattamento al seno, perché solo piccole ed innocue quantità passano nel latte materno.
In Australia, dove i casi sono particolarmente numerosi anche a causa dell’attuale stagione invernale, viene consigliato alle donne incinta di evitare di uscire da casa per diminuire il rischio di contagio; al momento in Europa, a maggior ragione in Italia, non si ritiene necessario un così stretto controllo che potrà diventare eventualmente un utile strategia preventiva nel caso di un aumento della possibilità di contagio.
http://www.farmacoecura.it/influenza/influenza-suina/
L’influenza A (era influenza dei suini) è una malattia respiratoria virale molto contagiosa che colpisce con una bassa percentuale di mortalità (dall’uno al quattro per cento). La trasmissione avviene per via aerea attraverso piccole gocce di saliva di chi tossisce o starnutisce, ma anche per via indiretta attraverso il contatto con mani contaminate da secrezioni respiratorie ed il periodo di incubazione è in genere di qualche giorno. Esistono portatori sani del virus non riconoscibili.
Il paziente infettato è contagioso da 2-3 giorni prima della comparsa dei sintomi e per i 4-5 giorni successivi; si stima che ogni nuovo contagiato sia pronto ad infettare 1.5 persone nei tre giorni precedenti alla comparsa di febbre, tosse e degli altri sintomi della febbre suina, in altre parole ogni giorno che il malato inconsapevole trascorre al lavoro, a scuola, in metro, è causa di un’altra mezzo contagio. Alcune categorie, bambini sopratutto, possono rimanere contagiosi anche per 10 giorni o più.
Il criterio clinico per riconoscere un caso di influenza suina prevede di rilevare un brusco esordio di patologia respiratoria con febbre uguale o superiore a 38° ad almeno uno dei seguenti sintomi:
cefalea,
malessere,
sensazione di febbre (brividi, sudorazione)
astenia (stanchezza, spossatezza)
ed almeno una delle seguenti condizioni
tosse,
naso che cola,
mal di gola.
E’ comunque possibile che si manifestino altri sintomi, tra cui raffreddore, nausea, vomito e diarrea.
Influenza suina e bambini
Nei bambini più piccoli, incapaci di descrivere i sintomi, questi si possono manifestare con irritabilità, pianto, mancanza di appetito.
Nel lattante l’influenza è spesso accompagnata di vomito, diarrea e solo eccezionalmente febbre.
Nei bambini in età prescolare spesso compaiono occhi arrossati e congiuntivite.
Nel bambino tra 1 e 5 anni spesso è associata a mal di gola, bronchite e febbre elevata.
Erano sporadicamente stati segnalati in passato contagi suino-uomo: i sintomi si presentavano nell’uomo simili alla tradizionale influenza, ma la casistica riporta anche estremi come soggetti asintomatici e soggetti deceduti per complicazione insorte a causa dell’influenza, come la polmonite.
E’ stata avanzata l’ipotesi che il paziente 0, il primo ad aver manifestato i sintomi dell’attuale febbre suina, sia stato un bambino di 4 anni (Edgar), residente in piccolo paesino di 3000 anime (La Gloria); i concittadini di Edgar, ammalatosi i primi giorni di aprile, sono convinti che la causa vada ricercata nell’allevamento locale di maiali, uno dei più grandi del mondo e di proprietà di una azienda statunitense. Nonostante le vibranti proteste che si sono susseguite in passato a causa di cattivi odori e scarsa igiene, l’allevamento incriminato potrebbe aver contaminato, a detta degli abitanti, le acque e l’aria.
Generalmente l’uomo viene contagiato direttamente dall’animale infetto, ma si ipotizzano casi di contagio a causa dell’ambiente che aveva ospitato maiali infetti. Il contagio uomo-uomo era possibile, ma molto raro e circoscritto a particolari circostanze.
La situazione attuale è invece considerata molto grave perchè una nuova variante del virus è in grado di trasmettersi da uomo a uomo.
L’OIE, organizzazione mondiale per la salute degli animali, interviene sottolineando che il virus responsabile di quella che definiamo influenza suina non è in realtà mai stato isolato in un animale nella stessa variante.
Al momento si ritiene che non sia possibile il contagio con il consumo di carne infetta, perché il virus non sopravvive alle temperature superiori ai 70° tipiche della cottura (ed inoltre l’Italia non importa da almeno 10 anni carne suina dal Messico) mentre tra uomini il contagio può essere facilitato dagli stessi fattori di rischio dell’influenza tradizionale: strette di mano, starnuti, luoghi chiusi ed affollati, … Si tratta di un virus molto sensibile e non e’ piu’ presente nei salumi, anche crudi, sottoposti ad essicazione e maturazione.
Non esiste al momento in commercio un vaccino efficace per il virus dell’influenza suina e non deve essere usato nessun antivirale o peggio, antibiotico in via preventiva. Il vaccino è in produzione è sarà commercializzato presumibilmente verso l’autunno.
Secondo l’Oms non tutti i farmaci antivirali oggi disponibili sono efficaci: sensibile all’Oseltamivir (Tamiflu® in Italia) e Zanamivir (Relenza®), mentre sembra resistente all’amatadina e alla rimantidina. Per il trattamento dei casi di influenza il sottosegretario alla Salute Fazio spiega che serve un ciclo di Oseltamvir con con 2 capsule al giorno per 5 giorni.
E’ notizia del 12 maggio che alcuni ospedali americani e messicani segnalano i primi fenomeni di resistenza del virus all’Oseltamvir (Tamiflu®); la comparsa di resistenza rende quindi necessario accelerare i tempi per la produzione di grandi quantità del vaccino specifico per l’influenza A suina.
L’infezione non è più circoscritta agli Stati Uniti e al Messico, ma la diffusione è ormai mondiale; in Italia al momento i casi sono particolarmente ridotti se paragonati a nazioni come l’Inghilterra, ma ci si aspetta prima o poi un aumento dei casi anche nel Belpaese.
Nel caso in cui stiate tornando da uno dei Paesi colpiti è necessario:
tenere sotto controllo eventuali sintomi nei successivi 7-10 giorni,
in caso di comparsa di sintomi influenzali (faringite, tosse secca, mal di testa, dolori muscolari,…) e necessario contattare immediatamente assistenza medica.
a causa dell’elevata facilità di trasmissione e dell’assenza di immunità nella popolazione italiana lo Stato invita tutti i cittadini che rientrano dal Messico e che lavorano in ambienti chiusi e a contatto con collettività, fra cui gli studenti ed i bambini, a rimanere a casa per sette giorni a partire dalla data di rientro dal Messico.
Attivati i controlli alle frontiere per intercettare chi torna dal Messico, prendere nota delgli estremi anagrafici e comunicarla alla Asle.
Se invece fosse necessario andare in Messico o negli Stati Uniti, per ridurre il rischio di contagio si consiglia di:
Coprire bocca e naso con un fazzoletto di carta quando si starnutisce gettandolo subito dopo,
evitare luoghi molto affollati,
aerare spesso gli ambienti dove si soggiorna,
non portare le mani a contatto con le mucose con occhi, naso e bocca,
lavarsi spesso le mani con detergenti alcolici o sapone,
usare una mascherina a maglie fini di tipo industriale,
isolamento volontario da soggetti malati,
in caso di temperatura corporea maggiore di 38 ° C, tosse, mal di gola,malessere, rivolgersi ad un medico,
non considerare sufficiente il vaccino antinfluenzale tradizionale.
Si definisce caso sospetto di influenza A una persona che risponda ai sintomi sopra descritti e che sia venuta in contatto con un’area interessata o con un caso confermato.
Cura e farmaci
In caso di malattia il Minstero ed i medici di famiglia invitano di non recarsi in Pronto Soccorso (a meno di sintomatologia particolarmente grave), in ambulatorio od in farmacia, ma di contattare preventivamente il proprio medico di famiglia.
Il Ministero della Sanità ha diffuso le nuove linee guida (22 luglio) per gli operatori sanitari che illustrano nel dettaglio i criteri di scelta ed i protocolli per la profilassi ed il trattamento dei casi di influenza A. Di seguito le principali considerazioni:
Le future necessità potrebbero essere maggiori delle attuali, è quindi indispensabile valutare criticamente caso per caso senza procedere sistematicamente all’uso degli antivirali.
Il vaccino non garantirà l’immunità.
Bambini con più di 2 anni, adolescenti ed adulti non necessitano di norma alcuna terapia antivirale, in quanto l’influenza A si è dimostrata essere autolimitante.
Nelle persone anziane, ossia con più di 65 anni, è invece consigliabile valutare attentamente la situazione clinica per decidere se ricorrere o meno a farmaci antivirali, sopratutto nei soggetti a forte rischio di complicanze (bambini con meno di 2 anni, malattie polmonari, cardiovascolari ma non gli ipertesi, diabetici, HIV, …).
Il trattamento è sempre raccomandato nelle donne in gravidanza, negli asmatici, negli obesi con Indice di Massa Corporea superiore a 30.
Anche in allattamento è possibile l’utilizzo dei farmaci antivirali, poichè i vantaggi per il lattante sono superiori ai trascurabili rischi.
Il trattamento, quando deciso, dev’essere iniziato il prima possibile e portato sempre a termine a meno di effetti collaterali.
Il ciclo completo prevede 5 giorni di terapia, 2 somministrazioni al giorni (cioè ogni 12 ore) qualsiasi sia il farmaco scelto (Oseltamivir o Zanamivir, cioè Tamiflu® o Relenza®).
La durata del trattamento preventivo è invece di 10 giorni, sempre con doppia somministrazione giornaliera, dal momento dell’ultima esposizione.
Uno studio recente, pubblicato sulla rivista Eurosurveillance, ha dimostrato che in molti bambini trattati a scopo profilattico con Oseltamivir si sono presentati effetti collaterali quali nausea, vomito, diarrea, incubi e insonnia.
I medici di famiglia consigliano, in caso di contagio, di:
non uscire da casa,
sostare sempre nella stessa stanza,
se possibile usare un bagno diverso dagli altri membri del nucleo famigliare,
avere contatti con un unico famigliare,
evitare contatti non strettamente necessari con familiari e amici e ancor più con i bambini e donne in stato di gravidanza,
coprire bocca e naso con fazzoletto di carta in caso di tosse o starnuti,
smaltire i fazzoletti in sacchetti chiusi immediatamente dopo l’uso.
E’ invece importante che in casa gli altri membri della famiglia:
provvedano ad arieggiare gli ambienti;
si lavino accuratamente e frequentemente le mani con acqua calda e sapone dopo ogni contatto con il malato;
evitino il contatto diretto con le diverse secrezioni ed escrezioni del malato, in caso di necessità a seguito del contatto è consigliabile lavarsi le mani o le altre parti del corpo, cambiare gli indumenti e lavarli come di consueto;
evitare di portare le mani a contatto con le mucose degli occhi, del naso e della bocca;
fare uso di guanti usa e getta per la pulizia dei materiali usati dal malato e/o contaminati da secrezioni e/o escrezioni del malato (fazzolettini, pigiami, biancheria) e lavarsi sempre le mani dopo la rimozione dei guanti che vanno smaltiti ogni volta e non riutilizzati.
prima di riutilizzare asciugamani, posateria, bicchieri, indumenti, lenzuola, coperte e federe usate dal malato è necessario procedere al consueto lavaggio a caldo (temperatura superiore a 70°);
Prevenzione
Lavarsi frequentemente le mani
Coprire bocca e naso quando si starnutisce
isolamento volontario dalle persone con malattie respiratorie febbrili
uso di mascherine.
Mantenere un’adeguata distanza (circa 1 m) tra persona e persona è considerata una misura efficace per prevenire la trasmissione dell’influenza (17.Glass RJ et al. Targeted social distancing design for pandemic influenza. EmergInfect Dis 2006; 12:1671-81)
Gravidanza
La società italiana di ginecologia ed ostetricia tranquillizza le donne in gravidanza spiegando che le terapie antivirali disponibili sono assolutamente sicure anche per il feto.
Si consiglia in ogni caso di rivolgersi prontamente al ginecologo in caso di dubbi, in modo da valutare la possibilità di ricorrere ad una terapia preventiva in caso di sintomi sospetti (Fonte: SIGO), anche perchè secondo recenti ricerche sembra che le donne incinte siano maggiormente esposte al rischio di complicazioni gravi.
Il momento più pericoloso in caso di infezione da nuova influenza sembra essere il secondo ed il terzo trimestre di gravidanza, anche perchè le donne incinte si rivelano essere facile bersaglio del virus dell’influenza suina; come in tutti i pazienti a rischio, anche le donne in gravidanza possono e devono ricorrere dietro parere medico al trattamento, anche preventivo, con antivirali. Al momento esistono maggiori studi relativi all’uso in gravidanza dell’oseltamvir rispetto allo zanamivirir, quindi il primo è da preferire (fonte Gravidanza e nuova influenza, Canadian Medical Association Journal).
Entrambi i farmaci sono inoltre indicati anche in caso di allattamento al seno, perché solo piccole ed innocue quantità passano nel latte materno.
In Australia, dove i casi sono particolarmente numerosi anche a causa dell’attuale stagione invernale, viene consigliato alle donne incinta di evitare di uscire da casa per diminuire il rischio di contagio; al momento in Europa, a maggior ragione in Italia, non si ritiene necessario un così stretto controllo che potrà diventare eventualmente un utile strategia preventiva nel caso di un aumento della possibilità di contagio.
http://www.farmacoecura.it/influenza/influenza-suina/
giovedì 17 settembre 2009
tachipirina,attenzione a non esagerare!
Paracetamolo: attenzione alle dosi!
Pubblicato da Giuliano in Farmaci, Malattie, Politiche Sanitarie, Primo Piano.
Martedì, 15 Settembre 2009.
Nessun allarmismo e ancora meno paure immotivate, perché è perfettamente normale che in corso di validità di un prodotto farmaceutico e dunque durante il suo utilizzo, alla luce di sempre nuovi acquisizioni su quel farmaco, si apportino aggiustamenti di sorta, fatto questo che dovrà semmai ancora più tranquillizzare il paziente sicuro che anche un farmaco presente da decenni e decenni sul mercato continua ad essere monitorato e studiato riguardo ai suoi effetti, collaterali e non.
Dunque parliamo di Paracetamolo, l’antipiretico, antidolorifico ad effetto anche antinfiammatorio più noto ai più con il nome commerciale di Tachipirina, ma esistono anche altre produzioni da parte di altre Case farmaceutiche. Alla luce delle recenti acquisizioni, si è chiesto alla FDA, l’Organo di controllo dei farmaci in America, di provvedere al fine di abbassare la soglia ritenuta di tossicità del farmaco dagli attuali 4 grammi al giorno a 3,25, negli adulti. Con tale soglia si intende stabilire la possibilità che il farmaco possa determinare fenomeni tossici in alcuni soggetti particolarmente predisposti.
L’eventuale danno d’organo eventualmente arrecato dal farmaco è a carico del fegato, parliamo di soggetti che hanno già un, sia pur minimo danneggiamento epatico. Ciò non toglie che in caso di ingestione eccessiva di paracetamolo, solitamente da causa accidentale, si siano verificati gravi casi di insufficienza epatica acuta che in alcune circostanze possono condurre il paziente a morte, come dimostrano i dati USA che denunciano come in America, nel periodo compreso tra il 1990 e il 2001, l’overdose da Paracetamolo ha causato 458 morti e 26.000 ospedalizzazioni.Il danno epatico da Paracetamolo è anche favorito dall’assunzione di alcol.
http://www.tantasalute.it/articolo/paracetamolo-attenzione-alle-dosi/8443/
Pubblicato da Giuliano in Farmaci, Malattie, Politiche Sanitarie, Primo Piano.
Martedì, 15 Settembre 2009.
Nessun allarmismo e ancora meno paure immotivate, perché è perfettamente normale che in corso di validità di un prodotto farmaceutico e dunque durante il suo utilizzo, alla luce di sempre nuovi acquisizioni su quel farmaco, si apportino aggiustamenti di sorta, fatto questo che dovrà semmai ancora più tranquillizzare il paziente sicuro che anche un farmaco presente da decenni e decenni sul mercato continua ad essere monitorato e studiato riguardo ai suoi effetti, collaterali e non.
Dunque parliamo di Paracetamolo, l’antipiretico, antidolorifico ad effetto anche antinfiammatorio più noto ai più con il nome commerciale di Tachipirina, ma esistono anche altre produzioni da parte di altre Case farmaceutiche. Alla luce delle recenti acquisizioni, si è chiesto alla FDA, l’Organo di controllo dei farmaci in America, di provvedere al fine di abbassare la soglia ritenuta di tossicità del farmaco dagli attuali 4 grammi al giorno a 3,25, negli adulti. Con tale soglia si intende stabilire la possibilità che il farmaco possa determinare fenomeni tossici in alcuni soggetti particolarmente predisposti.
L’eventuale danno d’organo eventualmente arrecato dal farmaco è a carico del fegato, parliamo di soggetti che hanno già un, sia pur minimo danneggiamento epatico. Ciò non toglie che in caso di ingestione eccessiva di paracetamolo, solitamente da causa accidentale, si siano verificati gravi casi di insufficienza epatica acuta che in alcune circostanze possono condurre il paziente a morte, come dimostrano i dati USA che denunciano come in America, nel periodo compreso tra il 1990 e il 2001, l’overdose da Paracetamolo ha causato 458 morti e 26.000 ospedalizzazioni.Il danno epatico da Paracetamolo è anche favorito dall’assunzione di alcol.
http://www.tantasalute.it/articolo/paracetamolo-attenzione-alle-dosi/8443/
stress:giova mangiare melone.
il melone che riduce lo stress
Pubblicato da Assunta Corbo in Alimentazione, Ricerca Medica.
Mercoledì, 16 Settembre 2009.
Sotto la lente dello studio della dottoressa Marie-Anne Milesi dell’azienda francese Seppic è andato il melone. I risultati dicono che fa bene all’organismo e aiuta a combattere lo stress con la complicità di un antiossidante che si chiama superossido dismutasi. In pratica un enzima che di solito viene prodotto dalle cellule sane per trasformare il radicale superossido “cattivo” in molecole meno pericolose per l’organismo.
La ricerca della dottoressa Milesi ha coinvolto 70 volontari sani che sono stati divisi in due differenti gruppi: al primo è stato somministrato per mezzo di capsule il superossido dismutasi estratto dal frutto melone. Al secondo gruppo, un placebo.
Dal test, i ricercatori hanno scoperto che l’assunzione dell’integratore a base dell’enzima ha alleviato sia la percezione che i sintomi dello stress e della fatica nei volontari del primo gruppo. Anche nelle persone del secondo gruppo si sono mostrati dei miglioramenti associati ai sintomi da stress, nonostante avessero assunto un placebo. La dottoressa, il cui studio è stato pubblicato sul Nutrition Journal di BioMed Central, ha sottolineato che i risultati migliori e si sono mostrati unicamente nei volontari che hanno assunto il superossido dismutasi, in particolare dopo 28 giorni dall’assunzione. Mentre l’effetto placebo è sparito dopo soli 7 giorni.
http://www.tantasalute.it/articolo/alimentazione-il-melone-che-riduce-lo-stress/8461/
Pubblicato da Assunta Corbo in Alimentazione, Ricerca Medica.
Mercoledì, 16 Settembre 2009.
Sotto la lente dello studio della dottoressa Marie-Anne Milesi dell’azienda francese Seppic è andato il melone. I risultati dicono che fa bene all’organismo e aiuta a combattere lo stress con la complicità di un antiossidante che si chiama superossido dismutasi. In pratica un enzima che di solito viene prodotto dalle cellule sane per trasformare il radicale superossido “cattivo” in molecole meno pericolose per l’organismo.
La ricerca della dottoressa Milesi ha coinvolto 70 volontari sani che sono stati divisi in due differenti gruppi: al primo è stato somministrato per mezzo di capsule il superossido dismutasi estratto dal frutto melone. Al secondo gruppo, un placebo.
Dal test, i ricercatori hanno scoperto che l’assunzione dell’integratore a base dell’enzima ha alleviato sia la percezione che i sintomi dello stress e della fatica nei volontari del primo gruppo. Anche nelle persone del secondo gruppo si sono mostrati dei miglioramenti associati ai sintomi da stress, nonostante avessero assunto un placebo. La dottoressa, il cui studio è stato pubblicato sul Nutrition Journal di BioMed Central, ha sottolineato che i risultati migliori e si sono mostrati unicamente nei volontari che hanno assunto il superossido dismutasi, in particolare dopo 28 giorni dall’assunzione. Mentre l’effetto placebo è sparito dopo soli 7 giorni.
http://www.tantasalute.it/articolo/alimentazione-il-melone-che-riduce-lo-stress/8461/
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